La fotografia è del 2017, poche settimane prima delle elezioni che poi porteranno Emmanuel Macron all’Eliseo: Marine Le Pen e Vladimir Putin seduti attorno a un tavolo negli sgargianti saloni del Cremlino. Sono reduci da una visita alle bellezze della Cattedrale di San Basilio che svetta sulla Piazza Rossa. L’incontro è ufficiale ma vietato alla stampa straniera, solo i media russi assistono alla conversazione tra lo “zar” e la candidata alla presidenza della République. Si parla di rapporti internazionali, di lotta al terrorismo, di future intese tra la Russia e la Francia e, perché no, di un’alleanza strategica a lungo termine. Le parole di Marine poi sono musica per le orecchie del padrone di casa: «La Crimea è russa», «Le sanzioni internazionali sono illegittime», «L’Alleanza Atlantica provoca in continuazione». I due parlano la stessa lingua, hanno gli stessi obiettivi e soprattutto gli stessi avversari: l’Unione europea e le classi politiche liberal-progressiste. Al parlamento di Strasburgo i deputati del Rassemblement National (Rn) difendono da anni con i denti gli interessi di Mosca, capeggiati dall’eurodeputato Thierry Mariani, vicepresidente della Società dell’amicizia franco-russa e cultore della personalità di Vladimir Putin. Mai un voto a favore delle sanzioni o una condanna per le azioni di guerra o per la repressione del dissenso interno. «Lo sa che lei è uno spettro politico per l’Europa, uno spettro che cresce di giorno in giorno?», le dice Putin al termine dell’incontro parafrasando Karl Marx, ma precisando che non intende influenzare le elezioni di un paese straniero. Almeno non alla luce del sole. Lo farà però attraverso una banca ceco-russa, la Frcb, che presta nove milioni di euro al Ressemblement National per finanziare l’assalto al cielo di Marine. La banca nel frattempo è fallita, e nessuno sa ancora se quel debito sia mai stato restituito. Dal 2011 era la quinta visita a Mosca per la leader dell’estrema destra francese, probabilmente la figura politica europea su cui il capo del Cremlino ha più investito in questi anni per piazzare avamposti populisti nell’Ue. Se i viaggi moscoviti di Matteo Salvini erano un misto tra folklore e opportunismo, quelli di Marine hanno molta più sostanza. Se la Francia, potenza nucleare, cuore politico ed economico dell’Unione, finisse in mano a un’ammiratrice di Putin, il fronte occidentale cadrebbe in pezzi. Ma Le Pen, che stavolta ha serie chance di battere Macron, è davvero un cavallo di Troia del Cremlino come dicono con allarmismo molti commentatori da Parigi? Nell’ultimo mese di campagna, complice la guerra in Ucraina, lo staff elettorale di Marine si è messo di impegno nel levigare l’immagine filo-russa della candidata all’Eliseo, ma è difficile cancellare vincoli politici, ideologici ed economici così consolidati nel tempo. Come quel volantino distribuito porta a porta che illustra il suo programma e la ritrae sorridente accanto al presidente russo, poi ritirato i primi giorni di marzo. Piccoli ritocchi di maquillage politico, ma senza zelo. Marine infatti non rinnega i suoi legami con lo “zar” come stanno facendo in queste settimane le macchiette sovraniste italiche, da Salvini a Giorgia Meloni. E anche nei momenti più cruenti dell’invasione russa, quando sono emersi gli orrori di Bucha, le torture, le esecuzioni dei civili e le fosse comuni, Marine ha ammesso i «crimini di guerra» senza però mai citarne gli autori (vi ricorda qualcuno?). Il giorno in cui Vlodymir Zelensky si è collegato con l’Assemblea Nazionale, dopo molte polemiche alla fine si è presentata in aula, ma smorzando l’enfasi con cui i media hanno salutato l’intervento del presidente ucraino: «Non mi sembra un eroe, è un capo di Stato e fa il suo lavoro». E anche sul futuro è stata molto chiara: quando un giornalista in un talk show le ha chiesto se, in caso di vittoria al ballottaggio, romperebbe le relazioni con Mosca, la risposta è stata istruttiva: «Appena la guerra sarà finita i rapporti tra Russia e Francia devono tornare alla normalità, siamo due potenze che devono cooperare e a volte competere, ma onestamente e alla luce del sole». Certo, stavolta pare che non ci siano oligarchi e banche russe a finanziare una campagna che rischia di diventare storica in caso di trionfo al secondo turno. In compenso i fondi, 11 milioni di euro, sono arrivati da una banca dell’Ungheria di Viktor Orban, altra roccaforte sovranista e filo-russa nel bel mezzo della Vecchia Europa. Sul fronte interno l’immagine di Marine Le Pen non è più quella della capopopolo nazionalista e xenofoba di qualche anno fa, i milioni di voti moderati raccolti al primo turno di domenica stanno lì a dimostrarlo: «Zemmour mi fa sembrare una donna di sinistra», ha scherzato alla vigilia del voto parlando del candidato identitario e islamofobo. Ma è la politica estera la vera cartina di tornasole per misurare l’impatto devastante che potrebbe avere la sua ascesa all’Eliseo. A lungo termine, per Vladimir Putin sarebbe una vittoria quasi più importante della resa dell’esercito ucraino.