La Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sentenza del 7 aprile 2022 (causa C‑236/20), a seguito di un’ordinanza di rinvio pregiudiziale del Tar Emilia-Romagna, ha riconosciuto ai giudici di pace - ma di conseguenza a tutta la magistratura onoraria -  il diritto a ferie retribuite, trattamento pensionistico e tutele assistenziali comparabile a quelli dei magistrati ordinari e ha ritenuto incompatibile con il diritto dell’UE il rinnovo degli incarichi a termine, pratica da sanzionare, previsti dal decreto Orlando del 2017. La normativa italiana è dunque in contrasto con il diritto dell’Unione perché prevede un trattamento differente. “L’importanza della sentenza - commentano gli avvocati campani Giovanni Romano, Egidio Lizza e Luigi Serino, che hanno assistito la ricorrente - risiede nel riconoscimento di un palese contrasto tra le direttive UE in materia di lavoro subordinato e le norme nazionali che, da oltre vent’anni, non prevedono per i giudici di pace il diritto alle ferie retribuite, né un regime assistenziale e previdenziale, ivi compresa la tutela della salute, della maternità e della famiglia, analogamente a quanto previsto per i Magistrati ordinari”. La pronuncia, inoltre, spiegano in una nota, qualifica il Giudice di Pace come lavoratore a tempo determinato che, sempre in base alla normativa UE, non può vedere regolato il rapporto lavorativo in base a reiterati incarichi a tempo. La normativa italiana, dunque, si presenta - ad avviso della CGUE - illegittima anche nella misura in cui consente di rinnovare, fino a tre volte, l’incarico pluriennale conferito, dando così luogo ad una reiterazione abusiva dei rapporti di lavoro a termine, vietata dalle direttive UE. Anzi, i Giudici europei ritengono doverosa l’introduzione, nel sistema interno, della possibilità di sanzionare, in modo effettivo e dissuasivo, detto rinnovo abusivo. “Ciò apre ampio spazio - concludono i legali - all’introduzione di azioni risarcitorie e alla rideterminazione dei trattamenti pensionistici, ma quel che maggiormente conta è che i principi giuridici così delineati dirigono in senso diametralmente opposto a quanto sino ad oggi concretamente fatto dal Ministero della Giustizia, per il quale si impone un cambio di passo”. Cosa accade ora?  In ottemperanza a tale pronuncia, si legge nella conclusione della nota stampa, è probabile che lo Stato italiano dovrà ora adeguarsi, sia ripianando il trattamento discriminante utilizzato nel passato per tali giudici, e in generale per la magistratura onoraria, sia conformando per il futuro la propria legislazione al principio di equivalenza con la magistratura ordinaria, richiesto in ambito europeo. A esprimere soddisfazione per la decisione c'è anche il direttivo AssoGot: “La sentenza della Corte di Giustizia rappresenta un’ennesima condanna per lo Stato italiano, per il Ministero preposto all’ organizzazione e al funzionamento della Giustizia e per un Parlamento che appare sempre più inerte. Il paradosso di magistrati chiamati ad applicare il diritto, ma privati dei diritti, scuote e lascia sgomenti i consessi europei, ma lascia indifferenti tutte le nostre istituzioni. Dopo aver vanamente indicato il percorso da seguire nel 2020, la Corte di Giustizia ribadisce l’ovvio: i magistrati onorari sono lavoratori subordinati e ad essi il datore di lavoro è tenuto a garantire previdenza, assistenza e ogni altra normale tutela. Peccato che in Italia anche l’ovvio possa essere negato, con pretesti vari, o procrastinato con rimbalzi, contrasti, analisi, pareri e valutazioni che offuscano la verità, mortificano i valori costituzionali e stritolano le nostre esistenze”. Per questo l'associazione si appella alla Guardasigilli: “Ci rivolgiamo alla ministra Marta Cartabia per ricordarle che non solo siamo lavoratori privi di tutele che servono lo Stato da decenni, ma che svolgiamo mansioni giurisdizionali, non amministrative, e che imporci un aut aut al ribasso, approfittando della condizione di fragilità in cui siamo costretti, configura un’estorsione, ancor più odiosa se a commetterla è il Ministero della Giustizia. Le chiediamo, signora Ministra, una sola cosa: dimostri di avere a cuore la Costituzione e la applichi, subito, ai magistrati onorari”. Proprio l'AssoGot ha organizzato per lunedì 11 aprile un webinar (a cui si può partecipare cliccando qui) durante il quale si discuterà della sentenza ma anche delle future iniziative in sede giudiziaria. Per il Collegio nazionale di difesa della magistratura onoraria -  Professori Giorgio Fontana, Bruno Caruso, Antonio Lo Faro e Stefano Giubboni - la sentenza del 7 aprile “segna un’altra tappa dell’anomala vicenda che riguarda la categoria dei magistrati onorari italiani, protagonisti involontari di una situazione paradossale che nasce dall’ostinato rifiuto delle istituzioni nazionali di applicare nei loro confronti le norme vigenti del diritto del lavoro”. Essa “lascia oramai poche scappatoie allo Stato italiano, sottoposto ad una procedura d’infrazione da parte della Commissione europea proprio per la situazione illegittima in cui versa suo malgrado la magistratura onoraria. Non sembra esserci altra strada che adempiere le indicazioni della Corte di giustizia europea, superando le forti ma inutili resistenze corporative. La parola spetta ora al Parlamento e prima ancora alla Corte costituzionale, che prossimamente dovrà pronunciarsi sul “caso” della magistratura onoraria e, verosimilmente, non potrà ignorare le due pronunce dei giudici europei”. Già nel luglio 2020 infatti la stessa Corte di Giustizia, nella famosa sentenza UX, si era espressa a favore della magistratura onoraria, equiparando lo stato giuridico ed economico dei giudici di pace e dell’intera magistratura onoraria in servizio  - Got e Vpo - a quello della magistratura professionale. Un anno dopo, la Commissione Europea aveva avviato, inviando una lettera di costituzione in mora al Governo italiano, una procedura d'infrazione nei confronti dell'Italia riguardante la legislazione nazionale che regola l'attività dei magistrati onorari, ritenendola non in linea con il diritto Ue in materia di lavoro. La Ministra della Giustizia Marta Cartabia aveva istituito la Commissione Castelli per elaborare un testo che indicasse possibili soluzioni legislative  ma le proposte della relazione non erano piaciute alla categoria né, a quanto pare, ai Commissari europei. Quindi, accantonata la relazione Castelli, l'iniziativa del Governo si è concretizzata in un emendamento alla legge di bilancio 2022 fortemente stigmatizzato, che prevede la prosecuzione del sistema di pagamento a cottimo nonché, tra l'altro, che la domanda per essere confermati in servizio, mediante svolgimento dei colloqui da espletarsi in tre anni, comporta l'automatica rinuncia a ogni ulteriore pretesa di qualsivoglia natura conseguente al rapporto di lavoro pregresso. Ciò è stato ritenuto dalle categorie interessate un vero e proprio ricatto da parte del Governo.