Il giudice Corrado Cartoni non cercò di favorire il pg di Firenze Marcello Viola per diventare procuratore di Roma e non pianificò dossieraggi o altre strategie contro il procuratore aggiunto della Capitale Paolo Ielo. Lo ha stabilito il tribunale di Perugia che ha condannato al risarcimento i sei quotidiani che, a giugno del 2019, pubblicando stralci delle intercettazioni effettuate con il trojan inserito nel cellulare di Luca Palamara, attribuirono a Cartoni, all’epoca capo delegazione di Magistratura indipendente al Csm, frasi mai dette.

Le sentenze sono diventate definitive questa settimana in quanto tutti i quotidiani hanno rinunciato all’appello, accettando di corrispondere a Cartoni, difeso dall'avvocato Carlo Arnulfo, il risarcimento disposto dal giudice. La vicenda risale al 14 giugno. Quel giorno i giornali del Gruppo Cairo e del Gruppo Caltagirone dedicarono ampio spazio a quanto accaduto la sera dell’8 maggio precedente all’hotel Champagne di Roma, quando Cartoni ed altri quattro componenti del Csm si erano incontrati con Palamara e i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri. «A Ermini va dato un messaggio forte, così Lotti alla cena con i membri togati», il Corriere della Sera. «Ermini si deve svegliare. Lotti e i dossier sulle toghe dobbiamo fare la guerra», il Messaggero ed il Mattino.

Gli articoli ricostruirono, sulla base delle intercettazioni della Procura di Perugia in quel periodo coperte dal segreto essendo le indagini in corso, i colloqui di quella serata fra i vari partecipanti. «In prima ( Commissione del Csm, competente sulle segnalazione ed esposti nei confronti delle toghe, ndr) c’è una bomba vera pensavo fosse per Pignatone, ma la bomba è su Ielo», la prima frase attribuita a Cartoni. «Noi contattiamo Crezzo ( Giuseppe, procuratore di Firenze, in corsa per la Procura di Roma, ndr) e gli diciamo… Peppe, guarda che qui non ti possiamo votare, ci sono cinque voti nostri e magari un laico, ma tu qua perdi, che si fa», la frase successiva. Gli articoli puntavano ad evidenziare che il gruppo di toghe e politici mirasse a pilotare le nomine degli incarichi direttivi e ad eliminare i pm “nemici”, organizzando strategie con ricorso al dossieraggio contro i candidati sgraditi appartenenti ai fronti opposti. La narrazione mirava poi ad avvalorare “Il piano Viola”, esponente di Mi come Cartoni, favorendo il ritiro della candidatura di Creazzo. Ritiro che, però, non c’era stato dal momento che Creazzo il 23 maggio successivo era stato votato in Commissione per gli incarichi direttivi. Il successivo voto in Plenum saltò però proprio in conseguenza della diffusione di queste intercettazioni. In realtà, ascoltando bene le bobine, quella sera Cartoni si era limitato ad esternare contrasti con il vice presidente David Ermini all’interno della sezione disciplinare del Csm.

«Avergli attribuito falsamente la divulgazione di informazioni circa gli affari in trattazione al Consiglio e in particolare al delicato tema delle nomine degli uffici giudiziari, per il quale era lecito attendersi particolare rigore e trasparenza dai membri del Consiglio assume ben altra portata offensiva che aggrava la reputazione del ricorrente e che non corrispondente a verità non può considerarsi lecitamente diffusa nell’esercizio del diritto di cronaca», scrivono i giudici di Perugia.

La pressione mediatica fortissima durò per giorni e Cartoni, che alle elezioni aveva preso circa 700 voti, venne costretto alle dimissioni. E con lui anche gli altri consiglieri che avevano partecipato all’incontro. Le dimissioni determinarono un ribaltamento degli equilibri al Csm, con Mi che da gruppo con più consiglieri passò in minoranza. «La reputazione del ricorrente risultava già gravemente compromessa dalla diffusione della notizia alla sua partecipazione alla riunione, notizia di per sé idonea ad offuscare la sua immagine di componente del predetto organo istituzionale», puntualizza il giudice. Poco più di diecimila euro ad articolo il risarcimento per Cartoni che nel frattempo è tornato a fare il giudice il tribunale di Roma.