Le nuove misure del governo che allentano gradualmente le restrizioni imposte per fronteggiare l’epidemia e, in particolare, l’obbligo di green pass cosiddetto rafforzato, costituiscono per tutti una buona notizia. In particolare con riferimento all’obbligo vaccinale, che tante discussioni ha sollevato negli scorsi mesi. L’obbligo verrà gradualmente ridotto nelle prossime settimane, ma per alcune professioni, ad esempio quelle sanitarie, resterà in vigore fino al 31 dicembre 2022.

Seppure in questo quadro meno drammatico, le questioni giuridiche relative alla legittimità costituzionale dell’imposizione di tale obbligo, che, com’è noto, è assistito da gravi sanzioni, quale, tra l’altro, la sospensione dall’esercizio della professione e, per i lavoratori dipendenti, dallo stipendio non sono destinate a sopirsi. Da qualche giorno, però, la questione ha assunto una diversa consistenza perché alcuni giudici hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale davanti alla Corte costituzionale proprio della disciplina relativa alle professioni sanitarie.

In particolare il Consiglio di giustizia amministrativa per la regione siciliana (CGA), la sezione del Consiglio di Stato che, in ragione della speciale autonomia accordata alla Sicilia, costituisce l’organo amministrativo di ultimo grado, ha adottato una corposa ordinanza (quasi 50 pagine: pres. De Nictolis, relatrice Boscarino) di remissione alla Consulta della relativa normativa per violazione dell’art. 32 Cost. La questione è sollevata perché ritenuta “non manifestamente infondata”. Ciò significa che il CGA non ha escluso che la normativa sia illegittima, ma ha lasciato l’ultima parola, come prescritto dalla nostra Costituzione, alla Corte. C’è dunque da ritenere che presto la questione sia definitivamente risolta dal massimo organo di garanzia del nostro ordinamento. Le motivazioni del “dubbio” di legittimità sono stata ampiamente articolate, anche a seguito di un’attività istruttoria che ha coinvolto i vertici dell’amministrazione sanitaria. I punti problematici più rilevanti sono tre e tutti di grande interesse.

Il primo muove dall’interpretazione dell’art. 32 cost. data in passato dalla Corte costituzionale, la quale ha ritenuto ammissibile l’introduzione dell’obbligo vaccinale, purché si determinino delle precise e rigorose condizioni. Una di queste è che il vaccino da somministrarsi obbligatoriamente “non incida negativamente sullo stato di salute di colui che è obbligato, salvo che per quelle sole conseguenze “che appaiono normale pertanto tollerabili”” (C. cost. 258/ 94 e 307/ 90).

Il dubbio del Consiglio di giustizia amministrativa consiste nel fatto che il livello di incertezza empirica sugli effetti negativi connessi con i vaccini anti- Covid vada effettivamente oltre quel margine di tollerabilità consentito dalla Corte costituzionale. Per giungere a tale conclusione il giudice amministrativo ha, come detto, svolto una approfondita istruttoria, analizzando le relazioni degli esperti del Ministero della Salute, dell’Aifa e dell’Istituto Superiore di Sanità, dei periti di parte e i dati contenuti nel database di farmacovigilanza dell’EMA (l’agenzia europea per il farmaco).

Su queste basi- dati il CGA ha individuato due principali criticità. La prima è metodologica. Fino ad oggi la farmacovigilanza per valutare gli effetti avversi delle vaccinazioni è stata essenzialmente di tipo “passivo” (affidata cioè alla spontanea comunicazione dei dati da parte dei malati o dei medici curanti). Un patrimonio informativo del tutto casuale quindi, statisticamente non accurato e affidato all’iniziativa degli interessati. Con l’effetto che tali dati potrebbero essere sia sovrastimati che sottostimati.

Solo da pochissimo, si rileva nella ordinanza, sono stati avviati procedimenti di farmacovigilanza attiva, consistenti in indagini statisticamente attendibili, per campioni di vaccinati. La seconda criticità sta nel fatto che, pur essendo statisticamente (ma qui vale la premessa metodologica) poco rilevanti, i casi di reazioni avverse non possono, a parere del Consiglio di giustizia, annoverarsi tra le sole conseguenze normali o i casi fortuiti e imprevedibili consentiti dalla giurisprudenza costituzionale. In effetti molti di tali effetti avversi sono collocabili in precise categorie di malattia. L’ “omogeneità di tipologie” non consentirebbe di parlare di casualità o imprevedibilità.

Un ulteriore profilo di criticità riguarda le modalità di svolgimento del c. d. triage, la valutazione che precede la somministrazione. Chi si vaccina in effetti non è oggi richiesto di fare alcuna analisi preventiva e nemmeno un tampone onde accertare la presenza condizioni ( come essere attualmente positivo al Covid, ad esempio) che consiglierebbero quantomeno un rinvio della vaccinazione.

Un terzo profilo di illegittimità, infine, riguarda la ragionevolezza del mantenimento dell’obbligo di consenso anche nel caso in cui il vaccino sia imposto. Sul punto il CGA è chiarissimo. La firma del consenso non è la stessa cosa della firma di una dichiarazione in cui si affermi di essere stati informati. Mantenere l’obbligo di consenso non può essere giustificato in nome della necessità di essere informati. Siamo su piani diversi.

Sgombrato il campo da questo equivoco, il Consiglio di giustizia è lapidario: “il sistema di raccolta del consenso informato risulta irrazionale laddove richieda una manifestazione di volontà per la quale non vi è spazio in capo a chi subisce la compressione del diritto all’autodeterminazione sanitaria, a fronte di un dovere giuridico ineludibile”. L’autorevolezza dell’organo che ha sollevato la questione e l’approfondimento istruttorio compiuto consentono di ritenere che le questioni giuridiche sollevate siano molto serie. Aver deciso di investire la Corte costituzionale non può che tranquillizzare i cittadini, quale che sia l’esito del giudizio davanti ad essa.

Certamente dalla ricostruzione della vicenda emerge come la prospettiva di una campagna vaccinale che continuerà ad esistere, con o senza obbligo, imponga che immediatamente si perfezionino i meccanismi di monitoraggio in modo da ricondurre con maggior certezza la vicenda nell’alveo dei rischi ritenuti tollerabili dalla Corte costituzionale per limitare la libertà di salute, all’interno della quale è certamente compresa, a meno di legittime limitazioni, la libertà di sottrarsi alle cure e quindi anche al vaccino.