Ancora in alto mare sul testo del ddl, è vero, ma compatti nel chiarire un punto: il cannoneggiamento contro Marta Cartabia non è tollerabile, e non può essere assecondato. Dalla riunione, affollata e lunga, che ieri la maggioranza si è concessa sulla riforma del Csm, esce un altro rinvio dell’approdo in Aula, all’ 11 aprile, ma anche una parola di chiarezza sul futuro. Nonostante si sia certificata l’impossibilità di rispettare la data del 28 marzo, come il presidente della commissione Giustizia Mario Perantoni aveva previsto, si è compiuto un doppio passo avanti politico.

Innanzitutto, il conclave dei capigruppo con la ministra e il sottosegretario Francesco Paolo Sisto si è aperto con ripetute espressioni di solidarietà nei confronti di Cartabia «per gli attacchi e le critiche arrivati da Csm, Anm ma anche da singole figure del mondo giudiziario», a cominciare da Nicola Gratteri. Il primo a esprimersi con toni di sostegno per la guardasigilli è stato Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione. Lo hanno seguito a ruota praticamente tutti i delegati di maggioranza, dal dem Alfredo Bazoli all’azzurro Pierantonio Zanettin, a Federico Conte di Leu. Ed è chiaro che un’espressione di fiducia così ampia è anche la risposta all’anatema contro la riforma pronunciato ieri quasi in contemporanea dal Csm.

Che l’unità d’intenti annusata al vertice allontani l’ipotesi di ripensamenti sul ddl, lo dimostra anche un dettaglio: proprio Cartabia ha voluto respingere le critiche rivoltele in plenum dal togato Giuseppe Cascini sulla presunzione d’innocenza. «Si contestano le sanzioni previste nel mio maxiemendamento in relazione alle norme sui rapporti coi media», ha detto la titolare della Giustizia, «ma si tratta di illeciti in gran parte già sanciti da una legge del 2006». L’altro segno evolutivo è nello sforzo intravisto per arrivare a dama. «Ci rivediamo domani ( oggi per chi legge, ndr) in modo da chiarire i punti divisivi della riforma», spiega un capogruppo presente al vertice.

«Lo faremo fra di noi, senza la ministra, con l’obiettivo di tornare presto in commissione e votare gli emendamenti». Dire che basti ad approvare il ddl sul Csm in tempi ragionevoli sarebbe da ingenui. Ma dai report dei partecipanti filtra una comune volontà di riscatto rispetto all’ennesimo altolà pronunciato dalla magistratura.

Ieri ci si è riuniti nella Sala Tatarella del “Palazzo dei gruppi” adiacente a Montecitorio. Oggi ci si rivede alle 14.30 per sfrondare ancora le proposte di modifica al maxiemendamento del governo. Si cercherà una difficile sintesi. Resta per esempio esplicita la richiesta di FI e Lega per il “sorteggio temperato” dei togati, «unico antidoto al correntismo altrimenti impossibile da sradicare, qualunque fosse il sistema di voto». Costa ha messo sul tavolo la sua proposta di trasferire nella riforma la responsabilità diretta dei magistrati prevista da uno dei referendum di radicali e Lega, poi dichiarato inammissibile dalla Consulta. Il deputato di Azione paventa «una legge timida: l’asse Pd- M5S punta a un impianto conservativo che non avrebbe il nostro sostegno».

I cinquestelle, rappresentati da Perantoni ma anche dal capogruppo in commissione Eugemio Saitta, hanno rilanciato l’idea di impedire l’elezione al Csm dei parlamentari in carica. Poi c’è il dilemma porte girevoli: il Pd vuole distinguere i capi di gabinetto da chi viene eletto, con minori penalizzazioni per i primi. È uno dei passaggi sui quali l’alleanza giallorossa si divide, perché i pentastellati vogliono invece che il divieto di reindossare la toga sia definitivo per tutti i giudici “macchiati” dall’esperienza politica. Italia Viva fa da ponte: propone emendamenti che rendono omogeneo il quadro, col divieto definitivo di rientro nella giurisdizione esteso a tutti o, in alternativa, tempo di latenza uguale per tutti. È ancora grande la confusione sotto il cielo. «Ma una cosa è certa», spiega un altro delegato di maggioranza, «chi si aspettava una clamorosa inversione a U resterà deluso: si prova a implementare il ddl, ma nel suo binario. Non si può stravolgere l’impianto disegnato da Cartabia». Si rassegni il Csm: stavolta per dirottare la riforma non basterà un anatema.