La difesa di Luca Palamara presenta istanza di ricusazione nei confronti dei giudici del processo di Perugia, dove è imputato per corruzione. Istanza che arriva dopo il no del Tribunale di Perugia alla richiesta di astensione formulata dalle stesse giudici, la presidente Carla Maria Giangamboni e la collega Serena Ciliberto, che avevano confermato la propria iscrizione all’Associazione nazionale magistrati ritenendo dunque potenzialmente sussistente una situazione di incompatibilità. Tutto ruota attorno alla richiesta di costituzione di parte civile dell’Anm, che più volte ha negato al suo ex presidente l’elenco dei propri iscritti, richiesto con lo scopo di verificare se i giudici che andranno a giudicarlo siano o meno potenzialmente portatori di interessi nello stesso processo. Rifiuto al quale è seguita l’ammissione da parte delle stesse giudici, che avevano anche autorizzato l’Associazione guidata da Giuseppe Santalucia a segnalare la loro iscrizione, facendo cadere, dunque, qualsiasi questione legata alla privacy. «È doveroso premettere che mai questa difesa ed il dottor Palamara hanno inteso mettere in discussione la correttezza e la lealtà del comportamento posto in essere dal Collegio giudicante dei quali anzi in questa sede deve essere rimarcato il coraggio nell’individuare esso stesso profili di astensione», affermano gli avvocati Roberto Rampioni e Benedetto Marzocchi Buratti, che si sono dunque rivolti alla Corte d’appello per dirimere la questione. L'Anm ha chiesto di costituirsi parte civile per ottenere «l’integrale risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali subiti per i fatti di cui ai capi di imputazione contestati al dottor Palamara». Ed in tale prospettiva, affermano i legali, è necessario verificare «l’imparzialità, l’indipendenza e la terzietà, sostanziale come apparente, del Collegio competente a decidere», così come stabilito dalla Cedu e dalla Corte costituzionale, sin dal momento in cui il collegio è chiamato a pronunciarsi in merito all’ammissibilità della costituzione di parte civile, «operando, sin da questo momento, un giudizio sulla legittimazione dell’associazione privata, di cui i componenti sono iscritti, a diventare parte del processo e, dunque, ad esercitare i relativi diritti». Un’eventuale ammissione dell’Anm al processo, infatti, «esporrebbe a rischio la serenità del giudizio atteso che i giudici si ritroverebbero come parte nel loro processo l’organo dal quale dipende ogni aspetto della loro vita politica associativa come previsto nello Statuto dell’Anm». Associazione che «si è già resa protagonista dell’espulsione del dottor Palamara attraverso un procedimento del tutto sommario e lesivo dei suoi diritti di difesa» e che «ha tenuto un comportamento del tutto opaco in relazione alle legittime richieste formulate da questa difesa e volte a conoscere l’elenco degli iscritti alla medesima associazione», anche alla luce del consenso delle due giudici a fornire la comunicazione circa la loro iscrizione. La richiesta risarcitoria, anche dei danni morali, prosegue la difesa, rappresenta «un assoluto inedito nel panorama giudiziario», dal momento che la stessa associazione non ha inteso costituirsi nel processo nei confronti di un altro ex presidente, Piercamillo Davigo, in corso a Brescia, ed è strettamente legata al ruolo di Palamara in seno all’Anm, di cui ogni singolo membro, in astratto, potrebbe avanzare richiesta di un’azione risarcitoria e «che, non solo sul profilo morale, ha dirette ripercussioni su ogni singolo associato». A ciò si aggiunge la scelta opposta fatta dal presidente del Tribunale di Perugia rispetto alla posizione del magistrato Giuseppe Narducci, nell’ambito di un altro processo a carico di Palamara: in quel caso, infatti, il Tribunale ha autorizzato la richiesta di astensione «sul presupposto che il medesimo avesse espresso giudizi negativi in merito all’operato del dottor Palamara nel mero ambito politico giudiziario». Una circostanza «obiettivamente di minor rilievo se paragonata al caso di specie ove il giudice è chiamato a pronunciarsi sulla pretesa risarcitoria dell’associazione di cui fa parte in maniera organica ed attiva».