Un’ondata di arresti ha caratterizzato lo scorso fine settimana in Russia, dopo che il dissidente Aleksei Navalny aveva invitato a scendere in piazza per protestare contro la guerra (parola vietata, ormai) in Ucraina. La risposta all’appello c’è stata, così come la pronta reazione della polizia, che, senza badare alle maniere gentili, ha dissolto i manifestanti riempiendo le camionette e le celle dei distretti di polizia. Gli arresti in 37 città sono stati poco più di ottocento. Gran parte delle notizie che ci giungono provengono dai canali di informazione indipendenti che si sono trasferiti su Telegram o che operano dall’estero, come il caso di RTVI, giornale online in lingua russa con redazione negli Stati Uniti ma con diversi giornalisti ancora nella madre patria. Gli arresti non risparmiano nessuno, giovani e anziani che vogliono esprimere il loro punto di vista. Difendere i manifestanti è altresì impegnativo, per non dire pericoloso. A confermarcelo è l’avvocato Aleksei Kalugin di San Pietroburgo. Siamo riusciti a contattarlo. Il legale il 7 marzo scorso, dopo essersi recato nel 31° Dipartimento di polizia per assistere un suo cliente, ha subito violenze ed intimidazioni dalla polizia. «Sono giorni molti particolari e delicati per la Russia – dice al Dubbio Kalugin – e le preoccupazioni le viviamo pure noi avvocati. Siamo costretti a lavorare in condizioni precarie e con tanta apprensione per i nostri assistiti e per noi stessi». [video width="480" height="848" mp4="/ildubbio/news/wp-content/uploads/sites/4/2022/03/outputcompress-video-online.com_.mp4"][/video]   Kalugin svolge la professione legale dal 2012 ed è esperto in diritti umani. È specializzato nella difesa dei cittadini arrestati durante scioperi e altre manifestazioni pubbliche. Molti cittadini, finiti in carcere per aver dimostrato in piazza, si affidano alla sua difesa. «Nel mio lavoro – evidenzia – dedico particolare attenzione ai diritti umani. Credo che lo sviluppo e la crescita di uno Stato e di una società moderni non possano prescindere dal rispetto dei diritti umani». Una branca del diritto di cui c’è molto bisogno in questi giorni nella Russia di Putin a difesa dei cittadini desiderosi di esprimere il loro dissenso verso un presidente divenuto il padre-padrone di uno Stato che rischia di sfracellarsi per il suo delirio di onnipotenza. «Quello che mi è successo due settimane fa – racconta l’avvocato Kalugin – è molto grave. Sono stato ammanettato e sbattuto contro il cancello della caserma per poi essere trasferito all’interno, come un delinquente qualsiasi. Mi sono recato il 7 marzo scorso con un collega nel 31° Dipartimento di polizia per assistere una mia cliente, una ragazza, nel frattempo fermata. Volevo entrare negli uffici ma ho dovuto fare i conti con il secco rifiuto dei poliziotti. Ho quindi deciso di filmare tutto con lo smartphone. È sempre bene avere delle prove quando si opera in queste situazioni. Mi sono però reso conto che questo modo di fare ha indispettito un alto ufficiale nel frattempo intervenuto. Con fare brusco mi ha afferrato per la giacca facendomi cadere». Il poliziotto ha ammanettato Aleksei Kalugin e lo ha sbattuto contro il cancello della caserma per trasferirlo all’interno, come l’ultimo dei criminali. «Alcuni agenti di polizia – prosegue l’avvocato - hanno iniziato a insultarmi. Mi hanno detto che mi avrebbero contestato reati molto gravi e che rischiavo di non poter più svolgere la mia professione. Una serie di pressioni psicologiche ingiustificabili con l’esplicita richiesta di cancellare il video che nel frattempo avevo registrato con il mio telefono». La propaganda putiniana ha generato un singolare modo di inquadrare le situazioni, delle vere e proprie mistificazioni e distorsioni della realtà. Chi protesta e chi difende le persone che manifestano il loro dissenso contro la guerra in Ucraina viene definito sbrigativamente “neonazista”. «È capitato anche a me», afferma Kalugin. «In caserma i poliziotti hanno iniziato a definirmi neonazista perché difendevo una persona che protestava contro la guerra. Mi hanno considerato un criminale per aver fatto il mio lavoro e hanno detto che avrebbero aperto un fascicolo nei miei confronti. Succede purtroppo questo. La situazione è preoccupante. Molte persone protestano e vengono arrestate. Un’onda lunga del dissenso che però porta pure ad interventi duri della polizia. Sono giorni di intenso lavoro sia per l’assistenza che dobbiamo fornire ai nostri assistiti custoditi nelle caserme della polizia, sia per le udienze che dobbiamo poi tenere in Tribunale con una precarietà del diritto di difesa». L’avvocatura russa non si è voltata dall’altro lato. «Molti miei colleghi – spiega - hanno fatto sentire la loro solidarietà, così come l’Ordine degli avvocati di San Pietroburgo. Mi hanno scritto per esprimere il loro sostegno anche se io ho fatto solo il mio lavoro e quanto mi è accaduto può riguardare qualunque avvocato. Le manifestazioni di sabato scorso hanno portato all’arresto di molte persone a San Pietroburgo e in altre città della Russia. Fino ad oggi, dall’inizio delle proteste, circa 14mila persone sono state arrestate. I metodi utilizzati non ci permettono di lavorare bene, se pensiamo che spesso non riusciamo ad entrare in contatto con i nostri assistiti nelle caserme della polizia, dove vengono trattenuti, oppure in Tribunale. Al momento seguo una ventina di casi di persone arrestate nelle manifestazioni pubbliche». Un pensiero l’avvocato Kalugin lo rivolge ai colleghi europei. «È importante – conclude - che conoscano quanto accade in Russia e i rischi che gli avvocati corrono qui. Da persone che difendono i diritti non possiamo che pretenderne il loro rispetto. Il nostro è diventato un lavoro rischioso. La repressione in atto non sta risparmiando nessuno. Grazie a tutti i gli avvocati che dimostrano la loro attenzione e solidarietà dall’estero per tutto quello che stiamo vivendo. Inoltre, in questo momento il ruolo dei media è prezioso perché possono sensibilizzare l’opinione pubblica e l’avvocatura degli altri Paesi europei, oltre che impegnarsi a far conoscere il contesto in cui siamo costretti a lavorare».