Per Angelo Piraino, segretario di Magistratura Indipendente, esprimendo il suo netto “no” al quesito referendario, promosso da Lega e Partito Radicale, sul voto dei “non togati” nei Consigli giudiziari, ci domanda: «Secondo lei, con quale animo un magistrato sottoposto a valutazione dovrà giudicare certe cause, sapendo che il difensore che ha davanti, o il suo collega di studio, dovrà dare un voto dal quale dipende la possibilità di continuare a svolgere il suo lavoro?».

Perché votare “no” al quesito sul voto dei “non togati” nei Consigli giudiziari? 

Perché l’indipendenza dei magistrati non è un privilegio, ma una garanzia per tutti: i cittadini hanno diritto che il loro processo si svolga davanti a un giudice libero da condizionamenti, sia esterni che interni. Gli avvocati fanno già parte dei consigli giudiziari, con diritto di voto nelle discussioni che riguardano l’organizzazione degli uffici e del lavoro dei giudici, materie nelle quali forniscono un contributo fondamentale. Le valutazioni di professionalità sono una cosa del tutto diversa. Non sono promozioni, ma verifiche periodiche obbligatorie, e non facoltative, dalle quali dipende la stessa possibilità del magistrato di continuare il suo lavoro: due valutazioni negative comportano il licenziamento. Nessun pubblico dipendente è sottoposto a controlli così rigorosi. Gli avvocati possono effettuare segnalazioni sul singolo magistrato, cioè fornire informazioni specifiche per la valutazione, delle quali il consiglio giudiziario deve tenere conto. Quasi ovunque gli è riconosciuto il diritto di assistere e partecipare alle sedute, e questo garantisce pubblicità e trasparenza dei lavori. Perché tutto ciò non basta?

Molti magistrati temono che gli avvocati possano, nelle loro valutazioni, riversare la personale ostilità o antipatia verso un magistrato scomodo che, magari il giorno prima, ha dato loro torto in una causa importante. Oppure possano ingraziarlo poco prima di un giudizio. Però si potrebbe obiettare che anche un giudice, che deve emettere una sentenza su un’importante indagine svolta da un pubblico ministero, possa essere influenzato dal fatto che quel pm fa parte del consiglio giudiziario che l’indomani deve emettere un parere su un suo avanzamento in carriera. 

Il voto immotivato rischia di tradursi in una mera espressione di gradimento sul singolo magistrato. Gli avvocati che compongono i consigli giudiziari, a differenza dei membri laici del Csm, non vanno in aspettativa, dovrebbero valutare gli stessi magistrati dinanzi ai quali difendono le loro cause, spesso in territori davvero piccoli. Secondo lei, con quale animo un magistrato sottoposto a valutazione dovrà giudicare quelle cause, sapendo che il difensore che ha davanti, o il suo collega di studio, dovrà dare un voto dal quale dipende la possibilità di continuare a svolgere il suo lavoro? Il paragone con i pubblici ministeri non regge: sono dipendenti dello Stato che hanno il dovere di fare indagini anche a favore dell’indagato, ricercano la verità, non vincono le cause e la loro retribuzione non dipende da questo. Per gli avvocati è diverso, sono liberi professionisti, il loro compenso e la loro reputazione presso i clienti dipendono dall’esito delle cause.

La contrarietà al voto degli avvocati può discendere anche da una visione distorta del ruolo del difensore, una sorta di azzeccagarbugli, complice del suo assistito?

L’avvocato è il primo difensore dei diritti civili e condivido la lotta che l’avvocatura sta facendo perché il suo ruolo venga riconosciuto anche nella Costituzione. Senza un’avvocatura libera non può esistere un sistema giudiziario realmente giusto ed efficiente. Le riforme dovrebbero ampliare le occasioni di confronto e dialogo tra l’avvocatura e la magistratura, ma il rapporto di fiducia tra queste due categorie va recuperato attraverso un confronto su posizioni paritarie e distinte, e non può essere basato su rapporti di forza e indebite commistioni.

L'ex procuratore Paolo Borgna, esprimendosi a favore del quesito, ha scritto: 'ho maturato una convinzione profonda: un sistema in cui un chierico che esercita un così terribile potere sui cittadini abbia in tutta la sua vita professionale solo valutazioni espresse da altri chierici - senza che mai a valutarlo siano persone esterne alla corporazione cui appartiene – è un sistema destinato a secernere veleni'. Che ne pensa? 

Il paragone tra magistrati e chierici mi atterrisce, richiama le caste sacerdotali. Non siamo missionari, ma funzionari dello Stato chiamati al difficile compito di assicurare il rispetto della legge. La nostra vita professionale è decisa dal Csm, che è già composto per un terzo da professori universitari e avvocati nominati dal Parlamento, non comprendo perché questo non sia ritenuto sufficiente.

Davvero il vero problema dell'indipendenza della magistratura sono i voti degli avvocati nei consigli giudiziari e non invece lo strapotere di alcuni membri forti delle correnti della magistratura?

I condizionamenti che possono influenzare i magistrati possono essere sia esterni che interni. La degenerazione delle correnti è stata causata anche dalla progressiva gerarchizzazione della magistratura: si sono dati sempre più poteri ai dirigenti degli uffici, in nome dell’efficienza, e si è creata così una divisione tra la magistratura alta e quella bassa, tra ufficiali e soldati. È una tendenza iniziata dalle procure, con la riforma Castelli, che ora si sta estendendo agli uffici giudicanti, con le ultime riforme annunciate dal governo. Tutto ciò alimenta il carrierismo, che ha causato i comportamenti sbagliati che conosciamo. Ma l’art. 107 della Costituzione stabilisce che i magistrati si distinguono tra loro solo per le funzioni, il concetto di carriera dovrebbe essere estraneo all’organizzazione della magistratura. Abbiamo bisogno di buon senso e di scelte condivise, e non di nuovi ambiti di potenziali conflittualità all’interno della magistratura o tra la magistratura e l’avvocatura.