Hanno frequentato il liceo negli anni 80, quando nelle classi e nei cortili delle scuole spuntavano le creste colorate, i pantaloni sdruciti infilzati da spille, l'ondata punk che con qualche anno di ritardo approdava in Italia. Poi c'erano i metallari pavesati di borchie e catene, i dark con le capigliature a cespuglio e quintali di trucco nero attorno agli occhi,i fricchettoni avvolti da nuvole di marijuana, i rockabilly, evoluzione dei greaser e dei teddy boys degli anni 50, i rissosi skinhead e i redskins, i new romatic con le chiome cotonate e le giacche irte di merletti. Nei bagni si ascoltava musica, si fumavano spinelli e alcuni consumavano le prime esperienze sessuali. Tribù metropolitane che facevano da contrappunto al mainstream dei paninari milanesi e dei tozzi romani, interpreti del riflusso e dell'edonismo reaganiano ma anch'essi liberi, a modo loro. Oggi quei ragazzi e quelle ragazze, figli della generazione sessantottina la più vorace e libertaria del XX Secolo,  sono diventati dei 50enni, logicamente imborghesiti: la casa, il lavoro, la famiglia, le stempiature, le ricrescite, il mutuo da pagare a fine mese e gli antichi vezzi sepolti negli scatoloni delle foto. Giusto che sia così. Decisamente più incomprensibile la riscoperta della morale dei nonni e una  malsana passione per il "decoro" che sembra uscita dal libro Cuore di De Amicis. Emblematica  in tal senso la vicenda del liceo Righi di Roma, dove una supplente ha ringhiato contro una studentessa che aveva qualche centimetro di pancia scoperta dandole implicitamente della prostituta ("Non siamo mica sulla Salaria"!).  A chiudere il quadretto le parole di un altro ex professore di italiano del Righi (oggi docente al liceo Orazio) che scrive così  sulla sua pagina Facebook: "Oggi facciamo una preghiera, anche laica, per tutti quelli che mandano le figlie a scuola vestite come troie!". Di fronte a tanta rancida sessuofobia ci si sarebbe aspettato un coro unanime di sdegno: educatori che si rivolgono in questo modo a delle ragazzine di 15 anni hanno un serio problema mentale e forse bisogno di aiuto. Non di claques e  incoraggiamenti. E invece, scorrendo le migliaia di commenti sui social, gli editoriali di costume dei giornali ma anche le dichiarazioni di qualche politico che forse ha dimenticato il proprio accidentato corso di studi, emerge tutto il contrario. Sintetizzando: i docenti si sono forse espressi male, ma nella sostanza hanno ragione perché a scuola ci si va vestiti in modo congruo. E pazienza se a qualcuno capita di dare della puttana a una minorenne. Quel che colpisce è l'odio profondo e privo di freni che viene vomitato sugli adolescenti da queste legioni di adulti frustrati e livorosi, odio che si intreccia con un moralismo da pretura anni 50 che chiede abbigliamenti castigati e punizioni esemplari, evocando i  "vecchi tempi" (ma quali!) quando la gioventù rispettava la disciplina. Con quel ditino bacchettone puntato contro le famiglie "lassiste" che permettono ogni libertà ai loro pargoli invece di impartirgli cataloghi di regole da collegio svizzero. Una generazione che è entrata nella pubertà durante la pandemia, sepolta in casa dai lockdown, intrappolata nella Dad, controllata e sorvegliata dai registri elettronici (una svolta digitale che, ai teenager degli anni 80, li avrebbe mandati ai matti). In molti chiedono addirittura che nelle scuole vengano ripristinati grembiuli e uniformi, introdotti nel ventennio fascista  e poi aboliti durante la rivoluzione del 68. Ci aveva provato nel 2008 l'ex ministra della pubblica istruzione Mariastella Gelmini, ma venne subissata da critiche e non se ne fece nulla. Oggi troverebbe senz'altro un terreno più fertile, magari si potrebbe ritornare agli ingressi e alle classi separate, maschi da una parte e femmine dall'altra, bacchettate agli alunni insolenti e esilio dietro la lavagna per quelli scarsi. Ci eravamo rassegnati al fatto che quella dei 50enni fosse una generazione X,  schizoide e incompiuta, soffocata dai trionfi dei genitori boomer di cui ha provato a scimmiottare i fasti, e ugualmente  incapace di stare al passo con i propri figli nativi digitali, con i "barbari" che provano a inventarsi futuri impossibili nel labirinto della precarietà e della new economy. Mai avremmo pensato che per trovare un'identità avrebbero riscoperto la morale dei bigotti.