A volte basta la parola, anzi il pensiero. È stato sufficiente sapere che ieri pomeriggio Sergio Mattarella avrebbe giurato e pronunciato un messaggio alle Camere. Prima ancora di ascoltarne i richiami, ieri mattina Mario Draghi e Marta Cartabia si sono incontrati a Palazzo Chigi e si sono detti: “Ora la riforma del Csm non può più aspettare”. Sapevano che il presidente della Repubblica avrebbe messo, sul punto, anche loro con le spalle al muro. E si sono anticipati col lavoro, diciamo. Poche ore dopo, in Aula, Mattarella dirà, a proposito del ddl sui magistrati: «È indispensabile che le riforme annunciate giungano con immediatezza a compimento». Il Capo dello Stato produce dunque un effetto quasi magico: scongela la legge sull’ordinamento giudiziario prima ancora di intervenire in Aula. Dove poi pronuncia parole cosi nette da chiudere ogni possibilità di fuga. Da inchiodare la politica refrattaria. La riforma del Csm, a questo punto, dovrà essere vagliata dal Consiglio dei ministri in tempi rapidissimi. Anche per lasciare al Parlamento l’agio di discuterla. Le Camere, ha pure rammentato Mattarella, vanno sempre «poste in condizione di esaminare e valutare con tempi adeguati» gli atti dell’esecutivo. Il presidente della Repubblica fa una premessa di metodo: «Non compete a me indicare percorsi riformatori da seguire». Certo. Poi però pronuncia un «ma» che suona come l’urlo di un allenatore nello spogliatoio di una squadra messa sotto scacco per tutto il primo tempo del match: «...ma dobbiamo sapere che dalle risposte che saranno date a questi temi dipenderà la qualità della nostra democrazia». Ricorda che nella giustizia, prima delle zuffe, vengono «gli interessi della collettività». E soprattutto dà, alla politica, un suggerimento: fate sparire le «logiche di appartenenza» dall’orizzonte del Csm. Pensate piuttosto alle aspettative di «efficienza e credibilità» coltivate dalle persone. L’ampio passaggio dedicato dal Presidente alla giustizia non lascia scampo, insomma: la riforma delle toghe va completata con urgenza in modo che il Csm «possa svolgere appieno la funzione che gli è propria», valorizzare «le indiscusse alte professionalità su cui la magistratura può contare». In altre parole, va premiato il merito anche nei tribunali. E non è trascurabile che nel chiedere di realizzare, in concreto, le riforme, il Capo dello Stato si rivolga non solo ai magistrati, ma anche alla «avvocatura». Un importantissimo pro memoria sul coprotagonismo del Foro nella giurisdizione. In termini di responsabilità ma anche di peso istituzionale. Non a caso, la presidente del Cnf Maria Masi dichiara, in una nota diffusa poco dopo, che «confortano le dichiarazioni» di Mattarella, «nel richiamare insieme avvocatura e magistratura a dare impulso al processo riformatore per restituire alla giustizia la centralità e la credibilità che deve esigere». Il vertice dell’istituzione forense aggiunge: «L’avvocatura c’è ed è naturalmente disponibile al richiamo, ma confidiamo anche nel riconoscimento a una pari dignità, condizione più volte evocata dal Presidente, nel ruolo e nelle funzioni, e di essere finalmente ascoltati e non semplicemente "sentiti"». È indiscutibile l’importanza della scelta compiuta dal Capo dello Stato: evocare l’avvocatura al pari dei magistrati. È un solenne riconoscimento che meriterebbe di riflettersi nella riforma sull’avvocato in Costituzione. Ma nelle parole di Mattarella c’è ovviamente anche un richiamo severo per la magistratura. Che attraverso il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia reagisce così: siamo pronti a dare «attuazione» ai richiami del Colle. Lo faremo, aggiunge Santalucia, nel segno della «Costituzione» che, puntualizza, deve essere il «faro anche per i legislatore nel dare corso alle riforme». Anche i magistrati amministrativi, per voce dell’Anma, si dicono «pronti alla sfida». Certo è che Mattarella, a proposito di toghe, Csm e principi della Carta, lascia soprattutto un promemoria: ad essere fuori dal «dettato costituzionale» sono appunto quelle «logiche di appartenenza» impadronitesi del Csm. Non spetta al presidente della Repubblica indicare o suggerire le riforme, per carità. Ma quel passaggio sembra almeno una buona ipotesi di lavoro...