Prima ancora che all'interno del Movimento 5 Stelle, se mai avverrà, il “processo” a Luigi Di Maio è partito dalle colonne del Tribunale speciale grillino: il Fatto quotidiano. Contro il traditore del grande timoniere senza bussola Giuseppe Conte, il quotidiano schiera l'artiglieria pesante. A cominciare da Marco Travaglio, che da giorni martella senza sosta sul «Renzi dei 5Stelle» che ha giocato in proprio sul Quirinale. Il direttore del quotidiano con lo strillone ha deciso che bisogna punire immediatamente il “pugnalatore” dell'avvocato e non risparmia nulla al fu capo politico del M5S, nemmeno qualche errore grammaticale, che viene invece cerchiato con una matita blu improvvisamente apparsa in redazione. Travaglio mette in fila tutte le giravolte del ministro degli Esteri nei giorni delle trattative per il Colle per poi mitragliarle come al luna park. Non accetta, il direttore, che a passare per dilettante sia stato solo Conte, per cui giù botte su Di Maio, il «cameriere» di Draghi che «ha perso» su tutti i fronti ma ha l'ardire di sostenere che «hanno fallito gli altri». L'ex capo politico, insomma, non deve permettersi di rigirare la frittata, perché se il presidente del partito non ha la forza di cacciarlo, il direttore sì.                                   E se non bastasse la sua fatwa, Travaglio lancia addosso all'inquilino della Farnesina anche quel caterpillar di Alessandro Di Battista, l'ex amico del grillino in doppio petto, uscito dall'organizzazione ma sempre in contatto stretto con Giuseppe. Le ragioni dello scontro interno? «Credo che a Luigi interessi più salvaguardare il suo potere personale che la salute del Movimento», risponde Dibba senza esitare, dopo aver scagionato l'ex premier, «l'ultimo arrivato», da ogni responsabilità sulla folle gestione della partita quirinalizia. E visto che l'ultimo arrivato, alla fine, ha solo peccato di ingenuità (come se l'ingenuità in politica fosse una virtù) non resta che scagliarsi contro quel giovane vecchio democristiano di Di Maio, con titoli del tipo: «Promesse al Caimano, Casini, Casellati&C: 50 sfumature di Gigino». Insomma, l'ex numero uno del partito sul Fatto diventa il male da rimuovere con le buone o con le cattive. A costo di generare una scissione. Il direttore ha deciso.