Oggi, in tutto il mondo, si celebra la “giornata internazionale della commemorazione in memoria delle vittime della ferocia nazista”; lo ha voluto l'Assemblea generale delle Nazioni Unite con una risoluzione del 1 novembre 2005, scegliendo la data del 27 gennaio in ricordo di quel giorno del 1945 quando le truppe dell'Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz svelando al mondo intero l'orrore del genocidio nazifascista. Al nostro Paese, il merito di avere, alcuni anni prima della risoluzione delle Nazioni Unite, istituito con legge dello Stato, nella stessa data, il “giorno della memoria”. La risoluzione dell’ONU del 2005 impegna tutti gli stati membri delle Nazioni Unite ad inculcare nelle generazioni future le “lezioni dell’olocausto”; un significato simbolico, una commemorazione pubblica delle vittime della Shoah e delle leggi razziali approvate sotto il fascismo, il ricordo collettivo degli uomini e delle donne, ebrei e non, che sono stati uccisi, deportati ed imprigionati, e di tutti coloro che si sono opposti alla ‘soluzione finale’ voluta dai nazisti, rischiando la vita e spesso perdendola. Non è sufficiente onorare la memoria per pacificare un Paese e garantire a una comunità una visione condivisa di futuro, perché bisogna scavare, individuare le corresponsabilità - legali, morali e storiche - che portarono all’emanazione, all’esecuzione e all’applicazione delle leggi razziali; perché per un ministro della Giustizia che firmò quei provvedimenti, ci furono magistrati che perseguirono, Tribunali che condannarono e Consigli dell’Ordine che cancellarono dagli albi gli avvocati di razza ebraica; e quasi tutta la cultura giuridica italiana che sostenne, con il silenzio, quell’ignominia. Riprendendo una riflessione pubblica di Andrea Mascherin, “possiamo davvero dirci sicuri che la cultura che generò quell’inferno non sia in essere anche nella nostra società sotto le mentite spoglie della mancanza di solidarietà, della primazia della logica del profitto su quella del diritto, del linguaggio dell’odio sui giornali e sui social, dell’indifferenza nei confronti degli emarginati, del rifiuto preconcetto al confronto con chi è diverso da noi ?”. È una domanda che dobbiamo porci, individualmente come cittadini e come avvocati, collettivamente come comunità di giuristi, coltivando, con la memoria,  il dovere di non dimenticare. Sergio Paparo, presidente Associazione InsieMe, past presidente Ordine degli avvocati di Firenze