«Piangeva. Simona non ha mai pianto nella sua vita. E quel giorno piangeva», tanto che disse di volersene andare via da casa. «Simona mi disse otto giorni prima, nove giorni prima, che poi non ci siamo viste più, perché sono andata fuori, che se ne voleva andare». Si sono aggiunti altri tasselli sulla scomparsa di Simona Floridia avvenuta ufficialmente il 16 settembre del 1992 a Caltagirone, che fanno vacillare ulteriormente l’accusa nei confronti di Andrea Bellia, unico imputato – dopo trent’anni dal fatto – che rischia di essere condannato all’ergastolo senza alcuna prova tangibile, ma solo tramite un unico indizio da ritrovarsi in una intercettazione tra due adolescenti appena 18enni, ripescata dopo più di 20 anni.

Durante la scorsa udienza presso la Corte d’Assise di Catania, sono stati sentiti tre ex compagni di comitiva di Simona Floridia e Andrea Bellia. Emerge che circa una decina di giorni prima della scomparsa, Simona e la madre sono andati a mangiare a casa di una delle testimoni sentite. Fu in quell’occasione che Simona le ha detto che voleva andarsene di casa, visto un evidente rapporto conflittuale con i genitori. «Ricordo che me l’ha detto, che se ne andava. E per un tratto è stata molto arrabbiata, questo sì!», ha deposto la sua ex amica.

L’avvocata Pilar Castiglia le ha domandato: «Ricorda se piangeva?». La testimone: «Piangeva. Simona non ha mai pianto nella sua vita. E quel giorno piangeva». Ma non ricorda altro. A quel punto l’avvocata Castiglia le legge le dichiarazioni che fece all’epoca, quando fu sentita a sommarie informazioni: «Mentre piangeva, fatto strano, perché non l’aveva mai vista piangere, poiché di carattere molto forte, minacciò i suoi genitori di volerli ammazzare, e di volere andare via di casa». Non se lo ricorda più. Ma è fisiologico, perché dopo trent’anni è difficile ricordate fatti e circostanze. Per questo motivo l’avvocata Castiglia ha chiesto l’acquisizione del verbale di sommarie informazioni. Ma il Pm non ha dato il consenso all’acquisizione di atti del suo ufficio. Un’occasione persa, perché evidentemente sarebbero di maggiore aiuto alla ricerca della verità rispetto alle testimonianze, in alcuni casi confuse e approssimative.

Comunque sia, dall’ultima udienza emerge che la 17enne Simona voleva andarsene di casa. Questo fa il paio con l’udienza precedente: è emersa una annotazione di servizio, dove l’assistente capo, addetto alla squadra di polizia giudiziaria, riferisce che il 18 settembre apprende dal padre di Simona Floridia che quest’ultima era stata notata, verso le ore 11 e 30 del mattino stesso, nei pressi della stazione ferroviaria. Un fatto riferitegli da un collega della Polfer. Non è poco. Vuol dire che due giorni dopo la data ufficiale della scomparsa, poi si sarebbe recata alla stazione. Per andare dove? Non lo potremo sapere mai. Anche perché, così è emerso nell’udienza precedente, l’allora uomo della Polfer ha deposto spiegando di non aver accertato se a quell’ora passassero treni e dove andassero. Non è stata nemmeno diramata la foto di Simona alle stazioni collegate con quella di Caltagirone.

Diventa sempre più difficile condannare oltre ogni ragionevole dubbio un uomo, oggi 47enne, che rischia di finire il resto della sua vita in carcere, perché – secondo l’accusa – dopo un giro in vespa avrebbe, al culmine di un litigio, gettato da un dirupo Simona Floridia. Lui stesso, come già testimoniò all’epoca della scomparsa, avrebbe invece, dopo un giro, riaccompagnato la ragazza in centro, vicino ad un bar e poi non l’avrebbe più rivista. Eppure, ora è agli atti una annotazione di servizio dove si scopre che Simona è stata vista alla stazione due giorni dopo il presunto omicidio. Non solo. All’ultima udienza è emerso – grazie alla testimonianza resa da una sua amica - che la ragazza aveva annunciato, piangendo, che voleva andarsene via di casa. Ricordiamo che Floridia era una ragazza suggestionabile e trovava conforto nel mondo dell’occulto, all’epoca un sottobosco molto diffuso nella sua zona in provincia di Catania.