Giovanni Orsina, direttore della School of Government dell’università LUISS - Guido Carli, ragiona sulla corsa al Colle spiegando che «se la Repubblica funzionasse bene il capo dello Stato sarebbe un notaio, non il centro del sistema politico» e che a oggi lo schema più probabile è costituto dalle prime tre votazioni di «schermaglia tattica» e da «un vero tentativo di Berlusconi» alla quarta.

Professor Orsina, secondo alcuni lo stallo attuale sul Quirinale è un unicum, secondo altri è sempre stato così e non c’è da preoccuparsi. Cosa ne pensa?

Penso che sia cambiato molto rispetto al passato. Chi dice che è sempre stato così dice sia il vero che il falso. È vero che è l’elezione quirinalizia è sempre stata un po’ un “casino”, ma era un casino gestito dai partiti, che sapevano muoversi a dovere. La confusione era intrinseca al sistema politico ma una soluzione poi usciva sempre fuori, anche se ci voleva del tempo. Oggi, anzi non da oggi, lo scenario è mutato.

Quando si è rotto l’incantesimo che portava comunque a trovare una quadra?

Basti pensare alla rielezione di Napolitano nel 2013. Già allora c’era una crisi profondissima dell’ultimo partito forte rimasto, cioè il Pd, che infatti produsse i 101 contro Prodi. I nomi sono sempre usciti all’ultimo, ma all’interno di una sistema politico che nella sua complessità seguiva una strada. Oggi c’è una situazione di profondissima debolezza dei partiti.

Quali sono i segnali di questa debolezza?

Sono essenzialmente quattro. Il primo è che il partito di maggioranza relativa in Parlamento, cioè il M5S, non partecipa al gioco, non ha un’iniziativa, non sa che dire. È diviso al suo interno, latita, non ha una linea, non ha un candidato. Il secondo è che si parla della rielezione di Mattarella: in qualunque situazione di normalità, di partiti forti, questo non sarebbe all’ordine del giorno, tanto più dopo i numerosi segnali di contrarietà del diretto interessato. Il terzo è che si parla di Draghi, un candidato esterno ai partiti, un non politico. Infine, il quarto segnale è che si parla ancora di Berlusconi, che è un signore di 85 anni e nonostante ciò lo schieramento di centrodestra è ancora appeso a lui. Se non sono segnali questi della debolezza dei partiti non so cos’altro dobbiamo andare a cercare.

La centralità di Berlusconi nel centrodestra è conseguenza della sua forza o della debolezza degli altri leader di coalizione, in particolare Salvini?

È una sua forza. Gli altri sono deboli ma in questo caso non è questo il problema. Berlusconi sta al centro, è l’ago della bilancia. La sua forza è che se Salvini e Meloni gli negassero il sostegno lui un minuto dopo chiamerebbe Enrico Letta e darebbe il proprio okay alla candidatura di Gentiloni, che né il Pd né il M5S potrebbero rifiutare. A quel punto si crea una nuova maggioranza Ursula attorno a Gentiloni e Salvini e Meloni subiscono una sconfitta politica come mai. La forza di Berlusconi è il suo potere di ricatto, la sua capacità di potersi alleare con Lega e Fd’I ma anche con Pd e M5S.

Ma non è che in fondo a Salvini e Meloni farebbe comodo stare all’opposizione nell’anno pre elettorale?

Non credo. Non tanto per l’opposizione in sé, posizione dalla quale si può comunque ricavare centralità politica, basti vedere la festa di Atreju. Quanto perché se il Pd riuscisse a eleggere al Colle un suo uomo per la terza volta consecutiva sarebbe una sberla troppo forte per Salvini e Meloni. Non contare nulla nella sfida per il Quirinale sarebbe un grave segno di marginalità politica.

Nell’altro campo, Pd e M5S sono in attesa. Troveranno un candidato comune o andranno in ordine sparso?

Il M5S ha una parte di gruppi parlamentari composti da parlamentari che sanno che non saranno rieletti e quindi non hanno prospettiva politica. In più Conte ha un immenso problema al suo interno costituito da Di Maio. Il Pd è molto più “partito”, ma è lo stesso partito dei 101 di Prodi. Non possiamo dimenticarci che Zingaretti si è dimesso dalla segreteria, vergognandosi dei suoi colleghi di partito, un anno fa, non mille anni fa. Letta ha fatto un buon lavoro ma le divisioni ci sono ancora. In definitiva la mia impressione è che il Pd ha problemi a governare se stesso, il Movimento è ingovernabile di suo e quindi a entrambi conviene giocare di rimessa. Essendo così divisi al proprio interno gli fa gioco aspettare e sperare che il centrodestra si faccia male da solo su Berlusconi. A quel punto, entrare in campo e giocare. E poi c’è Renzi…

A proposito, quanto potranno contare i grandi elettori di Coraggio Italia e Italia Viva, che hanno intenzione di giocare la stessa partita?

Renzi sa giocare bene queste partite e la sua priorità sembra quella di mettere in difficoltà il Pd. È uno bravo che fa un’azione di disturbo non banale. Ma penso che lo schema “centrodestra più Italia viva” potrebbe funzionare solo con un candidato capace di raccogliere un ampio consenso. Ci sono nomi nell’ombra che potrebbero uscire all’ultimo. Ma ricordiamoci che maggiore è la confusione, più Renzi conta. Perché ha pochi voti, ma è il più bravo a giocare queste partite.

Quale scenario insomma immagina quando tra dieci giorni ci sarà la resa dei conti?

Ad oggi lo schema è questo: prime tre votazioni di schermaglia tattica e alla quarta vero tentativo di Berlusconi. A meno che non si usino le prime tre votazioni per valutare la forza del Cavaliere. In questo caso, se vede che già la prima e la seconda vanno male, potrebbe decidere lui stesso di fare un passo indietro.

Insomma Berlusconi è sempre al centro. È solo un problema di crisi dei partiti se domina ancora lui la scena politica da ormai trent’anni?

C’è una crisi immensa del “politico”. La crisi dei partiti è una sottodimensione della crisi della classe politica. È in crisi la credibilità delle istituzioni, la rappresentanza, la selezione della classe dirigente. C’è una dissoluzione incredibile del tessuto politico. Berlusconi è uscito di scena nel 2011 con la crisi del debito sovrano ed è stato condannato nel 2013. Stiamo parlando di una persona che qualunque sistema politico minimamente funzionante avrebbe messo da parte già da lungo tempo. Inoltre, se la Repubblica funzionasse bene il capo dello Stato sarebbe un notaio, non il centro del sistema politico. Nei fatti il Quirinale è diventato invece un luogo politico, perché è stato risucchiato dalla crisi del sistema, ma non dovrebbe esserlo.

Magari in questa crisi del “politico” la spunta l’unico non politico del quale abbiamo parlato: Mario Draghi.

Continuo a pensare che sia l’opzione più probabile.