Con la morte per Covid del povero “Mauro da Mantova”, il carrozziere complottista, xenofobo, sessista e no vax, un agguerrito e benpensante tribunale del popolo si è scatenato contro Giuseppe Cruciani, conduttore de La Zanzara, la trasmissione radiofonica che gli aveva concesso un’effimera ribalta mediatica. Da Domani al Manifesto, passando per i febbrili trend topic che corrono sui social, l’anchorman di Radio 24 è stato accusato di sfruttare con cinismo le grottesche sparate del suo ascoltatore più celebre, di averlo trasformato in un fenomeno da baraccone solo per far salire l’asticella dell’audience. Certo, nessuno ha affermato esplicitamente che Cruciani sia responsabile della scomparsa del signor Buratti (si chiamava così), un po’ perché sarebbe assurdo (è stato lui a convincerlo a ricoverarsi), un po’ perché a costoro della sorte di “Mauro da Mantova” non importa proprio nulla. La sua triste parabola umana è stata solo un pretesto per ribadire che il “giornalismo trash” de La Zanzara non deve aver diritto di cittadinanza: «Con la scusa di voler di mettere in scena il “paese reale” ne propone le voci più reazionarie e con la scusa del politicamente scorretto ripropone tutti i leitmotiv del senso comune conservatore», scrive Giuliano Santoro sul Manifesto. Insomma, il senso comune o è “progressista” o non può essere, con buona pace dei milioni di elettori di Lega e Fratelli d’Italia che su molti temi la pensano come Mauro da Mantova. Razzisti, populisti, omofobi, qualunquisti, impresentabili, certo, ma dannatamente reali. Non dovrebbero avere pubbliche tribune? Cruciani la pensa diversamente e ha tutto il diritto di costruire la sua trasmissione come meglio crede. Vi ricordate di Barry Champlain , il conduttore di Talk Radio che ogni notte apriva i microfoni a emarginati, psicotici ed estremisti neo nazisti? Tratto da una storia vera, il film di mostrò il cuore di tenebra dell’America, il rancore sociale e l’odio ideologico che covava nel ventre della prima potenza planetaria. L’ascesa dei suprematisti bianchi e persino il successo di Donald Trump si potevano leggere in filigrana nei deliranti sproloqui messi in scena da Oliver Stone. Accadde qualcosa di simile in Italia nel 1986 quando Radio radicale aprì per la prima volta le linee telefoniche senza alcuna censura e mediazione da studio: tra insulti, minacce ed epiteti irriferibili, ne uscì fuori uno spaccato inquietante della nostra società. Anche in quel caso “radio parolaccia” fu una formidabile cartina di tornasole degli umori più violenti inconfessabili del Paese che poi sarebbero emersi a pieno titolo nei decenni successivi. L’idea di nascondere i “mostri” sotto il tappeto oltre che poco democratica è del tutto infantile e consolatoria. Anche perché razzismo e l’odio sociale non si combattono facendo finta che non esistano, ma guardandoli dritti negli occhi..