Gaetano Quagliariello, senatore di Cambiamo!, spiega che se le forze di centro non si unissero in vista della scelta del capo dello Stato «sarebbe un tradimento della politica e una condanna a una situazione di subalternità» e ritiene fondamentale «che il prossimo presidente della Repubblica sia espressione di tutta questa maggioranza e che magari possa andare anche oltre».

Senatore Quagliariello, stato d’emergenza prorogato e da lunedì altre regioni in zona gialla. Era necessario?

È evidente che la pandemia non è finita. L’Italia si trova in una condizione migliore degli altri paesi europei, abbiamo un vantaggio di circa un mese frutto di alcune misure basate più sulla prevenzione che sulla restrizione delle attività, basti pensare al green pass. Questo è stato attestato in maniera inedita da alcuni leader internazionali come Angela Merkel e da organi di stampa che di solito hanno denigrato il nostro paese come l’Economist. Bisogna agire con prudenza e pragmatismo, provando a non sprecare il vantaggio che abbiamo acquisito per non fermare le attività e la ripresa che ha caratterizzato il paese in questo ultimo anno.

Pensa sia un problema politico la proroga dello stato d’emergenza oltre i due anni previsti per legge?

Ci troviamo di fronte a una situazione inedita. La storia ogni tanto propone dei salti nel buio. È successo anche altre volte. Il problema è chiedersi se siamo ancora in emergenza oppure no, purtroppo la risposta è sì e questo chiude tutti gli altri discorsi. E visto che parliamo di denigratori seriali del generale Figliuolo, il resto sono chiacchiere e distintivo.

Veniamo alla corsa al Colle, vi siete avvicinati a Italia viva solo per contare di più?

È chiaro che ci sono delle forze che in questo momento condividono pragmaticamente gli stessi obiettivi. Sia dal punto di vista politico per l’elezione del capo allo Stato, sia sulla valutazione di questo governo comparato a quello precedente, sia infine sulle cose che andrebbero fatte in quel che resta della legislatura. D’altra parte l’elezione del capo dello Stato non è una delle tante scadenze ma è quella da cui potrebbe dipendere il futuro del nostro paese. È del tutto logico che queste forze che gravitano al centro cerchino un avvicinamento tra loro. Se non lo facessero sarebbe un tradimento della politica e una condanna a una situazione di subalternità, ed è normale che lo facciano per contare di più, a partire dall’elezione del presidente della Repubblica.

Sarà il primo passo verso un nuovo partito di centro?

Al momento significa cercare forme di aggregazione parlamentari, non automaticamente fare un partito, che invece potrebbe derivare da una soddisfacente collaborazione e dalla verifica di obiettivi che vanno al di là del contingente. Ma si tratta di un tema nemmeno abbozzato, che deve esser del tutto svolto.

Nel quale potrebbero trovare spazio sia componenti di centrodestra, come voi, che di centrosinistra, come Azione?

Se si lancia il progetto politico di un nuovo schieramento è del tutto evidente che bisogna prima verificare dal punto di vista ideale e programmatico la presenza di minimi comun denominatori, cioè di principi di fondo sui quali ci si ritrova. Se questa verifica dà esito positivo non solo nulla osta ma addirittura sono auspicabili differenze di accenti e di sensibilità. Nei grandi partiti moderati europei esistono e convivono liberali conservatori e liberali progressisti, che ovviamente hanno sensibilità differenti ma che sono meno differenti da quelle che li dividono rispettivamente dalla destra e dalla sinistra. Non avrei dubbi su questo, anche perché nella dialettica interna una volta prevarrà una posizione e una volta un’altra, mentre su altri temi, tipo quelli etici, varrà la libertà di coscienza.

Crede che dipenderà anche da quale legge elettorale avremo al momento del voto?

Credo che la revisione di questa legge elettorale, che con i collegi propone qualcosa di irreale visto che non ci sono coalizioni così coese da scegliere candidati unici nei collegi, è uno degli obiettivi comuni di queste forze di centro. Lavoriamo per una legge che abbia elementi di proporzionalità maggiormente pronunciati. Anche se non credo che sia necessario fare scelte radicali tra proporzionale e maggioritario, perché le leggi elettorali sono uno strumento empirico e approssimativo e si devono adeguare alle situazioni. Certamente questa legge elettorale non risponde al momento storico, non è attuale.

Tornando al Quirinale, proporrete un nome unitario come componente centrista?

Non è il momento di esperimenti e di tirare fuori il coniglio dal cilindro. Credo che sia fondamentale che il presidente della Repubblica sia espressione di tutta questa maggioranza e che magari possa andare anche oltre. Ci sono certamente molti profili che rientrano in questo quadro, ma penso ci si debba fermare qui. Perché se metodologicamente si propone una riflessione comune tra alcune forze è inutile fare fughe in avanti come a volte fanno anche personalità della mia area politica.

La ministra Cartabia rientra in questo schema?

Se si apre un confronto e si fissano le regole tutti i nomi possono essere presi in considerazione, non si possono fare conventio ad excludendum, tanto meno con un ministro di questo governo. Certamente sarebbe auspicabile un presidente nelle prime tre votazioni, o quantomeno alla quarta.

Lo sciopero di Cgil e Uil ha dato adito a una lotta sui numeri: vi convince questa manovra economica?

L’impalcatura di fondo della manovra ci soddisfa, soprattutto per il taglio delle tasse. Lo sciopero generale, che è uno strumento che va sempre rispettato, è incomprensibile in questo momento. Penso che la Cisl abbia avuto coraggio a tirarsi indietro. Tutto ciò non significa che alcune delle ragioni che sono al fondo dello sciopero non debbano essere prese in considerazione. In particolare è necessario evitare che per una serie di contingenze, a partire dall’inflazione, il taglio delle tasse non porti giovamento ai lavoratori. Sarebbe un’occasione persa e si vanificherebbe una forte spinta alla crescita.