L’ultimo concorso bandito nella magistratura è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale lo scorso 10 dicembre e riguarda 500 posti di magistrato ordinario. Per la presentazione delle domande, i candidati dovranno identificarsi tramite Spid di secondo livello e provvedere al pagamento dei diritti di segreteria con la modalità PagoPa. Nello scorso mese di luglio si sono tenute le prove scritte del precedente concorso per 310 posti. I dati diffusi ieri parlano chiaro e non si discostano da quelli di inizio dicembre: la commissione ha esaminato 1.609 buste (ogni busta contiene due elaborati) e sono risultati idonei appena 93 candidati. Se questa media dovesse confermarsi, sarebbero assegnati solo due terzi dei posti messi a bando.

Qualcuno ha sollevato la questione delle difficoltà di argomentazione negli scritti con “lacune tecniche” e “carenze grammaticali” da parte degli aspiranti magistrati. Elementi di non poco conto per chi dovrà redigere sentenze e altri provvedimenti, dovendo fare della capacità di scrittura, della chiarezza espositiva e della conoscenza del diritto i capisaldi della funzione giurisdizionale. L’efficienza della giustizia, è stato detto tante volte, passa da un incremento delle risorse umane da mettere in campo. A partire dai magistrati. Avvocatura e Csm in più occasioni hanno rimarcato la necessità di intervenire su questo fronte, a maggior ragione adesso con la destinazione delle risorse del Pnrr.

I nuovi concorsi banditi vanno in questa direzione. «La ministra Cartabia – dice Gian Luigi Gatta, ordinario di Diritto penale all’Università degli studi di Milano, consigliere della ministra della Giustizia e componente del Comitato direttivo della Scuola superiore della magistratura – ha ricordato come troppe volte i concorsi per l’accesso alla magistratura non riescano a selezionare un numero di candidati sufficiente a ricoprire tutte le posizioni messe a bando. Prendiamo ad esempio l’ultimo concorso concluso, che risale a un bando del 2018: su 330 posti ne sono stati assegnati 285. Gli ammessi agli orali erano stati 301. Meno, dunque, dei posti messi a bando».

In questo contesto non si può sottovalutare il ruolo che gioca l'università. «Senz’altro fondamentale», a detta del professor Gatta. «È ragionevole e necessario – aggiunge – che la riforma del corso di laurea in Giurisprudenza sia coordinata con la riforma della disciplina di accesso alle professioni». Saper scrivere è fondamentale per un giurista. «Saper scrivere di diritto – prosegue il consigliere della ministra – è essenziale per il magistrato, come per l’avvocato. Questo è indubbio. L’università deve fare una seria riflessione sulla propria didattica, se è vero che solo cinque laureati su cento riescono oggi a superare le prove scritte al concorso di magistratura. Occorre riformare il corso di laurea in Giurisprudenza prevedendo esercitazioni e prove scritte obbligatorie nelle varie materie, a partire da quelle oggetto delle prove scritte nel concorso per magistratura e nell’esame di avvocato. La didattica per le professioni legali e per i concorsi o esami di abilitazione non può essere estranea all’università, a quella pubblica in specie, ed essere rimessa a corsi privati, come oggi per lo più avviene. Formare i giuristi significa anche insegnare a scrivere temi, pareri e atti durante gli studi universitari. La riforma del corso di laurea in Giurisprudenza, di cui sarà chiamato a occuparsi il Consiglio universitario nazionale, può essere la sede in cui sviluppare questo genere di riflessioni. Non è pensabile che, salvo la buona volontà di qualche docente, come quelli che prevedono esami scritti o organizzano cliniche legali o seminari competitivi, lo studente di Giurisprudenza si confronti con la scrittura solo al momento della tesi di laurea».

L’università va coinvolta nelle scelte che si andranno a fare e dovrà farsi trovare pronta. «Penso – conclude Gatta – che l’università abbia oggi un’occasione importante per innovare la propria didattica. La stagione delle riforme che stiamo vivendo interesserà anche l’accesso alla magistratura e all’avvocatura. L'università ha istituzionalmente un grande ruolo e una grande responsabilità nel formare i nostri giovani, i magistrati, gli avvocati e i giuristi del domani».