«Sto rischiando per farvi vedere la verità, ecco la mia testimonianza: siamo pronti a morire». È questo l'ultimo grido di dolore lanciato da Wissem Ben Abdel Latif, il 26enne tunisino morto lo scorso 28 novembre in circostanze sospette. A due mesi dal suo arrivo in Italia, era stato trasferito nel Centro per il rimpatrio di Ponte Galeria, poi ricoverato al San Camillo, al Servizio psichiatrico, dove è rimasto legato al letto per tre giorni. In due video girati con il suo telefono e inviati a un amico in Italia, il giovane denuncia le condizioni in cui si trovano i migranti nel Cpr. Una denuncia che gli sarebbe costato il pestaggio da parte degli agenti, secondo il racconto di tre testimoni a Repubblica. «Le porte delle camere non si chiudono. Ci hanno tolto tutto e dato un pantaloncino e una maglietta. E una coperta che chissà dove stava prima. E che non basta per coprirci. Qui fa freddissimo al punto che non riusciamo a dormire. Aiutateci! Aiutateci!», racconta Abdel. Nel primo video, inviato a metà ottobre, il ragazzo lancia il primo messaggio d'allarme: «Abbiamo viaggiato con tre agenti a bordo. Solo Dio sa cosa ci hanno fatto. Ci hanno tolto i telefonini, tutto. Abbiamo fame, siamo in uno stato che solo Dio lo sa, le nostre famiglie non hanno nessuna notizia di noi. Ti supplico trovaci qualcuno. Un avvocato, qualcuno per aiutarci». Abdel era giunto in Italia a settembre e dopo un periodo di quarantena sulla nave della compagnia Gnv, come oramai da prassi per chi proviene dalla Tunisia, non era riuscito a manifestare la volontà di richiedere protezione internazionale. La meta era vicina e sarebbe stata Augusta, in Sicilia. Ma invece di essere accolto, era stato inviato in direttissima al Cpr di Ponte Galeria, racconta la campagna LasciateCIEntrare. Una volta lì, il ragazzo lancia un secondo video appello: «Abbiamo iniziato uno sciopero della fame. Non mangiamo nulla. Non siamo stati ammanettati nel nostro Paese per esserlo qui. Dove sono i diritti dell’uomo». «Siamo decisi a proseguire lo sciopero. Non vogliamo il rimpatrio. Siamo pronti a morire. Possono portare via i nostri cadaveri», sono le ultime parole di Abdel. Sulla sua morte ora la procura ha aperto un’inchiesta. Ma per fare luce su tutta questa vicenda occorre andare anche a prima del trattenimento, sottolineano gli attivisti denunciando l’ennesima morte legata alla detenzione amministrativa in Italia. «Chi sono i funzionari che non hanno accettato la sua domanda di protezione internazionale? Perché si continua a non dare accoglienza? A non voler ascoltare le voci di chi è ingiustamente recluso nei Cpr, a non voler vedere quello che accade nei Cpr, a quanto viene denunciato dal Garante, dalle associazioni?».