Aveva comunicato di essere ridotto a 50 kg di peso, di vomitare ogni giorno oltre a essere sofferente delle patologie psichiche documentate agli atti. Aveva detto di non farcela più. Alla fine, mercoledì, è stato ritrovato impiccato nel carcere di Ascoli Piceno. A trovare senza vita Roberto Franzè nella sezione “alta sicurezza” del carcere, attorno alle 11, sono stati i suoi compagni di cella, rientrati dall’ora d’aria. Gli agenti penitenziari non hanno potuto fare nulla per salvare l’uomo che si sarebbe suicidato utilizzando un lenzuolo.Un suicidio annunciato quello di Ascoli Piceno, come accade non di rado nelle carceri italiane. Sulla morte di Franzè si sono espressi i legali dell’uomo, Giambattista Scalvi e Anna Marinelli del foro di Bergamo: «È stato un suicidio annunciato da lettere quotidiane ai magistrati dei procedimenti nei quali era indagato». Gli avvocati di Franzè, proseguono sottolineando che due giorni prima del tragico evento, «il proposito suicidario era stato di nuovo comunicato da parte dei difensori alle istituzioni competenti. Franzè aveva comunicato di essere ridotto a 50 kg di peso, di vomitare ogni giorno oltre ad essere sofferente delle patologie psichiche documentate agli atti. Aveva detto di non farcela più e di non poter attendere la sciatteria degli enti pubblici nel ritrovare una comunità che potesse ospitarlo per le proprie patologie». Roberto Franzè, 45 anni, d’origini calabresi, in passato era residente in Valtrompia, attualmente a Pumenengo, nella Bergamasca. Era invalido e anche per questo chiedeva di potersi difendere dalle accuse mosse nei suoi confronti, in un contesto diverso da quello di un istituto di pena. A quanto si è appreso, gli avvocati di Franzè avrebbero trovato comprensione per il loro assistito nel magistrato di sorveglianza competente, ma tra questo e il trasferimento in una comunità ci si sarebbe messa di mezzo la burocrazia. L’uomo, ristretto nella casa circondariale di Ascoli Piceno già da tempo, era finito al centro di un’altra inchiesta, l’operazione “Atto finale”, conclusasi con 67 indagati in tutto di cui 14 finiti in carcere, condotta da carabinieri, polizia e Guardia di finanza e coordinata dalla Dda di Brescia, che ha fatto emergere una serie di reati tra cui, usura, estorsione e riciclaggio oltre a un presunto giro di fatture false, con l’aggravante del metodo mafioso. In ottobre, Franzè era stato condannato a tre anni in abbreviato per una tentata estorsione da 100 mila euro, aggravata dal metodo mafioso, ai danni di una coppia di imprenditori della Bassa, minacciati dal 45enne dopo il licenziamento della moglie, all’epoca incinta. La difesa aveva annunciato il ricorso in appello. Aveva cercato di dimostrare la propria innocenza per le accuse delle quali era indagato o imputato e aveva chiesto di poterlo fare da persona libera o con una misura cautelare che gli consentisse di stare con la propria moglie e la propria famiglia anche per le proprie gravi condizioni di salute. Ma alla fine, non ce l’ha fatta più. Con la sua morte, siamo a 52 suicidi dall’inizio dell’anno. Appare sempre di più, una mattanza senza fine.