Sarebbe legittima secondo Costituzione la limitazione all’accesso dei minorenni detenuti alle misure alternative. Lo ha annunciato la Corte Costituzionale nel comunicato del 2 dicembre scorso, osservando che “non sono fondate le censure alle norme sui limiti massimi di pena previsti per consentire ai condannati minorenni di accedere alle misure di comunità dell’affidamento in prova ai servizi sociali e della detenzione domiciliare”. La ratio starebbe dunque nel fatto che, non essendo previsti automatismi nei limiti di accesso, per il minore resterebbe garantita l’individualizzazione del trattamento penitenziario e la salvaguardia dei principi costituzionali di protezione dell’infanzia e della gioventù oltre che di finalizzazione rieducativa della pena. Censurati, davanti alla Corte da parte del Tribunale per i Minorenni di Brescia, sono stati gli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 121 del 2018, che prevedono l’affidamento in prova al servizio sociale e la detenzione domiciliare: la Consulta ha stabilito la loro non contrarietà ai principi costituzionali rispetto agli articoli 3, 27 e 76 della Costituzione. Non solo, per la Corte neanche sussisterebbe irragionevolezza nella scelta del legislatore, in quanto la stessa sarebbe il risultato di una ponderazione tra gli interessi coinvolti. È da dire che però le norme in questione limitano al minore detenuto di poter accedere all’affidamento e alla detenzione domiciliare solo a un certo punto dell’esecuzione, quando cioè la pena residua da espiare sia al di sotto della soglia rispettivamente di 4 anni e 3 anni di reclusione. Ebbene a questo proposito la Consulta argomenta che la decisione tiene in conto delle fondamentali esigenze di tutela connesse alle condotte criminose che siano state ritenute meritevoli di sanzioni penali elevate; ciò considerato, osserva sempre sul punto la Corte, che il limite di pena realizzerebbe una ponderazione che non contrasterebbe con i diritti fondamentali per il condannato minorenne. In soldoni siccome i limiti di accesso non sono correlati al tipo di reato, ma alla soglia di pena da espiare, non si creerebbe alcun automatismo. Tuttavia di illegittimità attenta all’automatismo, la Corte si è occupata con la sentenza 263 del 5 novembre 2019, quando diede un colpo di spugna alla disciplina dell’ostatività dell’art 4 bis c. 1, stabilendo che la stessa non dovesse applicarsi nel caso di concessione delle misure penali di comunità e dei permessi premio ai minorenni condannati. Seguendo di pochi giorni la sentenza 253 del 2019 - che invece aveva censurato la preclusione assoluta all’acceso ai permessi premio dei non collaboranti laddove fossero emersi in concreto elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata-, la Corte con riguardo ai condannati minorenni con la successiva sentenza 263 eliminava del tutto la collaborazione, come preclusione automatica per i reati del 4 bis. Si trattava del caso di un minore condannato alla pena di 5 anni di reclusione per art. 416 bis cp e con un residuo da espiare di circa un anno e mezzo: in mancanza di collaborazione, come prevede l’art 4 bis comma 1 che appunto il d. lgl. 121/218 non aveva risparmiato neanche per i minorenni, la misura alternativa non era accessibile. La Corte Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità del 4 bis, ricordava al legislatore che la sua disciplina non fosse coerente con gli approdi evolutivi che aveva offerto con le sue pronunce, negli anni volte a modellare la fase esecutiva in chiave sempre più costituzionalmente orientata. Fu infatti del 1994 la sentenza 168, che dichiarava incostituzionale l’ergastolo per i minorenni, e fu del 2017 la sentenza 90, che dichiarava l’illegittimità del divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione per certi reati ostativi. Sembra che la Corte Costituzionale negli ultimi anni abbia quindi cercato di tracciare le linee di una esecuzione della pena da parte del minorenne sempre più lontana dalle mura del carcere: tuttavia, con la pronuncia di qualche giorno fa, si può dire che potrebbe aver perso l’occasione per aprire le porte ad una effettiva finalità rieducativa della pena, eliminando del tutto ogni limite di accesso anche per soglia di pena alle misure extra murarie. Considerare le misure alternative non come se fossero un premio, ma come strumento di effettiva esecuzione, dando alle prime pari dignità di una pena eseguita in carcere, potrebbe essere la via per tutelare la sicurezza ma anche per garantire a pieno la dignità del minore, rafforzandone il senso di responsabilizzazione e di appartenenza alla collettività. L’esperienza carceraria nel minore ha dimostrato che il suo isolamento lo allontana dal senso di appartenenza nella società, al contrario incentivando la costruzione di identità false sul convincimento, che le condotte devianti siano quelle che conferiscono visibilità tra i consociati. Abolire il carcere per i minorenni e incentivare come unica via quella delle misure alternative o penali di comunità ben sembra l’obiettivo più coerente con il senso costituzionalmente direzionato dell’esecuzione della pena da parte del minore. Della battaglia se ne sta occupando il Partito Radicale, con l’obiettivo di abolire il carcere per i minorenni, come reso manifesto in occasione del Congresso di Napoli del novembre 2019, a ridosso del trentesimo anniversario della Convenzione Onu approvata dall’Assemblea Generale il 20 novembre 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Per continuare sul solco tracciato verso l’abolizione del carcere per i minorenni, il Partito Radicale farà visita ai giovanissimi detenuti dei 17 Istituti penitenziari minorili nei giorni che anticipano il Natale, per rammentare alle Istituzioni di farsi loro carico, anche e soprattutto in ragione di quanto previsto dalla nostra Costituzione e dalle Convenzioni internazionali.