Non lasciamoci influenzare dalla nostra fede calcistica: lo sputtanamento mediatico che sta subendo la Juventus in questi ultimi giorni è probabilmente illegale e va raccontato, anche se da napoletani o interisti la vorremmo vedere in fondo alla classifica. L'inchiesta, condotta dalla procura di Torino, riguarda una presunta «gestione malsana» dei conti della squadra bianconera, che ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati di sei persone, tra i quali il presidente della Juventus Andrea Agnelli, il vicepresidente Pavel Nedved, e l'ex dirigente Fabio Paratici. La procura del capoluogo piemontese aveva diramato un comunicato stampa di poche righe in cui, tra l'altro, informava che «i finanzieri del Nucleo di Polizia economico-finanziaria Torino, delegati alle indagini, sono stati incaricati di reperire documentazione e altri elementi utili relativi ai bilanci societari approvati negli anni dal 2019 al 2021». Il problema è quello che è successo dopo: da qualche giorno su quasi tutti i media sono stati pubblicati ampi stralci del decreto di perquisizione notificato lo scorso 24 novembre. Addirittura una grossa testata nazionale ha aggiunto proprio foto delle pagine originali del decreto. La domanda è sempre questa, la stessa che ci siamo posti per il caso Renzi/Open/Fatto Quotidiano, pur essendo in una fase diversa: quell'atto poteva essere pubblicato? E se la risposta è negativa, chi ha passato il materiale alla stampa? E si indagherà sulla presunta violazione di legge? Quell'atto è arrivato anche a noi, "inoltrato molte volte" su whatsapp. Ma abbiamo deciso di non pubblicarlo. Per l'onorevole di Italia Viva, Catello Vitiello, «senza entrare nel merito della vicenda, che l'atto di perquisizione venga notificato agli indagati non significa che cade il segreto investigativo. C'è un errore tecnico di fondo in quanto si confonde la conoscenza dell'atto da parte del soggetto interessato con l'opponibilità dell'atto erga omnes. La conoscibilità non riguarda tutti e in più siamo ancora nella fase dell'indagine preliminare». Inoltre, così facendo, si inquina la genuinità dell'indagine: «Persone non direttamente coinvolte che leggono il loro nome accostato agli indagati potrebbero mettere in atto delle azioni per coprire eventuali reati personali». In più, «la pubblicazione di un decreto di perquisizione lede la reputazione degli indagati, facendoli apparire colpevoli anche se siamo ben lontani da una sentenza definitiva». A questo punto l'onorevole Vitiello si augura che la sua pdl, che estenderebbe il segreto istruttorio all'arco temporale in cui gli atti di indagine sono conosciuti dalle parti, cioè fino a quando non inizia il processo vero e proprio, venga discussa quanto prima in Commissione giustizia: «Non pretendo che la mia proposta rappresenti la panacea di tutti i mali, ma penso sia importante discuterne perché sempre di più assistiamo a violazioni di legge in questo campo». Violazioni che spesso sono commesse perché la sanzione è irrisoria: l'arresto fino a trenta giorni o una ammenda da euro 51 a euro 258. Di solito nessuna procura apre un fascicolo per questo, anche se ci sarebbe il totem dell'obbligatorietà dell'azione penale da rispettare, oppure semplicemente le redazioni non si lasciano frenare da somme così irrisorie. Duro anche il commento dell'onorevole Enrico Costa di Azione da twitter: «Intercettazioni telefoniche che devono restare segrete, infilate con il copia-incolla in un decreto di perquisizione, il quale finisce in rete e sui giornali che riportano anche le virgole dei dialoghi. L’atto d’accusa è oro colato, la vera sentenza non interesserà più a nessuno». A noi aggiunge: «La procura di Torino, oltre che indagare sulla Juventus, cerchi di capire come quel materiale sia finito ai giornali. Il punto è sempre lo stesso. Quel decreto non andava così pubblicato. Lo ha ricordato la Corte di Cassazione in una sentenza del 2019 per cui quando l'atto non è segreto o non lo è mai stato rimane fermo il divieto di pubblicazione dell'atto anche in modo parziale». Lo abbiamo già detto: l'articolo 114 cpp è uno dei più ambigui e peggio scritti del codice; comunque che ci si riferisca ad atti coperti da segreto (art. 114 comma 1) o ad atti non più coperti da segreto ma non divulgabili (art. 114 comma 2) quel decreto di perquisizione non andava reso noto integralmente o parzialmente sulla stampa. Però, come ha sottolineato l'avvocato Cataldo Intrieri su Linkiesta, «come è successo in altre occasioni, con la solita ipocrisia ci sarà qualcuno che spiegherà che il comma 7 dell’articolo 114 del Codice di procedura penale recita che sono sempre pubblicabili gli atti non più coperti dal segreto e che i decreti di perquisizione lo sono in quanto conosciuti dagli indagati». Ovviamente abbiamo chiesto anche un commento al procuratore capo di Torino Anna Maria Loreto e ai colleghi incaricati dell'indagine - Mario Bendoni, Marco Gianoglio e Ciro Santoriello - ma nessuno di loro ha risposto alla nostra email. La nuova norma che recepisce la direttiva sulla presunzione di innocenza, peraltro ancora non pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, qui non c'entra nulla, semmai è il principio dell'articolo 27 della Costituzione che sistematicamente viene violato attraverso la narrazione colpevolista fatta soprattutto in fase di indagine. Costa è comunque pronto a dare battaglia: «La legge sulla presunzione d’innocenza sarà a breve pubblicata in GU. Ora dobbiamo impegnarci perché non venga aggirata. Ci proveranno. Stiamo predisponendo moduli perché tutti possano segnalare al ministero della Giustizia ogni violazione».