C’è scritto in ogni manuale di giornalismo: il delitto di Avetrana è un caso di scuola quando si parla di giustizia-spettacolo e processo mediatico. Perché di Avetrana resta soprattutto un’immagine, il volto di mamma Concetta congelato in diretta tv mentre un lancio d’agenzia le restituisce il corpo di sua figlia dal fondo di un pozzo. «Ha capito Signora?», chiede la conduttrice. La notizia è confermata. Sarah Scazzi è morta, e a confessare è suo zio, Michele Misseri: cercate «allu Mosca», aveva detto agli agenti, dopo 42 giorni di ricerche estenuanti.

Da quell’agosto del 2010, quando il volto di una ragazzina di 15 anni entrò in tutte le case d'Italia, ogni cosa è cambiata. Ma quell’istante, quel frame, segnerà il passo di uno show del dolore senza eguali. «Un momento di acme mai toccato dal racconto televisivo», per dirla con le parole di Christian Letruria, regista e autore insieme a Flavia Piccinni, Carmine Gazzanni e Matteo Billi, della docu serie “Sarah. La ragazza di Avetrana”, prodotta da Groenlandia e disponibile dal 23 novembre su Sky Documentaries.

Quattro puntate, tratte dall’omonimo libro, che riaprono “il set a cielo aperto” di Avetrana per ripescare, tra le vie di quel luogo di periferia consacrato ai riflettori, l’umanità persa e appiattita dietro uno schermo televisivo. Per Letruria è proprio la distanza nel tempo, il cambio di prospettiva, a fare la differenza. Le telecamere questa volta ci sono entrate «in punta di piedi» ad Avetrana, con discrezione. «Quando mi hanno proposto il documentario avevo paura di raccontare unicamente il caso giudiziario, proprio perché era stato già detto tutto, troppo», racconta al Dubbio. Poi l’intuizione, la domanda necessaria che guida l’intero progetto: quanto può influire un racconto che insegue il macabro e il morboso nella ricerca della verità? Quanto può influire una narrazione così “inquinata” anche nelle indagini giudiziarie? Parliamo di un paese, Avetrana, completamente scarnificato, relegato nell’immaginario collettivo al racconto del crimine, con un’intera comunità che si è «popolata di mostri», sbattutti in prima pagina come bifolchi.

Ma «Avetrana è molto più bella, rispetto all’immagine televisiva che si riassume in quella via, chiusa tra le cancellate di casa Misseri, con lo sguardo completamente oscurato dalla moltitudine di curiosi e giornalisti». «Dopo dieci anni - spiega il regista - i personaggi, tutti i protagonisti di quella vicenda, hanno avuto il tempo di elaborare il delitto. Un elemento fondamentale per ri-raccontare questa storia che invece era stata troppo raccontata mentre accadeva». Con i tempi e i modi della cronaca nera. «Ciò che mi ha stupito di più è che i personaggi, resi dai media con un livello di lettura unidimensionale, offrissero invece diverse sfaccettatura, e volti completamente diversi». A partire proprio da mamma Concetta. «In questa serie ne diamo una lettura nuova, diversa - spiega Letruria - facendole raccontare il suo mondo spirituale, legato ai testimoni di Geova, inizialmente completamente eluso dal racconto televisivo. Era vista come una statua di sale, incapace di trasmettere qualunque tipo di emozione. E invece la religione era una sovrastruttura che le permetteva di costruire una barriera rispetto all’espressione della sofferenza. Il suo mondo non è stato capito, non interessava...».

Ma in questa serie non c’è solo Concetta. Ci sono molti dei volti che in quei giorni hanno affollato gli studi televisivi. C’è il punto di vista di Franco Coppi, difensore di Sabrina -  condannata all'ergastolo insieme alla madre Cosima - che ancora si batte per ribaltare la verità processuale consegnata dalle sentenze. Coppi infatti è convinto della sua innocenza e ora spera nella Corte di Strasburgo (che ha giudicato il caso ammissibile) e in una revisione del processo. E c’è una testimonianza, quella del fioraio, Giovanni Buccolieri, che raccontò di aver visto Cosima e Sabrina, zia e cugina prediletta, inseguire Sarah in auto dopo una lite, afferrarla per i capelli e scaraventarla sul sedile, per riportarla in quella casa dove poi l’avrebbero uccisa con una cintura girata attorno al collo. Salvo poi affermare che si era trattato solo di un sogno. Una testimonianza inedita, a distanza di dieci anni, che potrebbe di nuovo cambiare le carte in tavola.

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