«Il rischio che si corre, è quello di far raggiungere l’obiettivo dei mafiosi stragisti». È questa la messa in guardia, non nuova, esternata dall’attuale consigliere del Csm Nino Di Matteo durante la sua audizione in commissione Giustizia della Camera a proposito della modifica della legge sull’ergastolo ostativo.

La tesi di Nino Di Matteo è sostanzialmente quella di una parte di magistrati antimafia

La tesi sostanzialmente è questa: l’obiettivo delle stragi del ’92 e ’93 consisteva nel ricattare lo Stato per ottenere, tra gli altri benefici, l’abolizione dell’ergastolo e del 41 bis. La tesi di Nino Di Matteo è sostanzialmente quella di una parte di magistrati antimafia che ha stigmatizzato le pronunce della Corte Europea di Strasburgo e della Consulta sulla violazione di alcuni articoli della Convenzione europea dei diritti umani e articoli della nostra Costituzione. In sostanza, secondo le Corti, è illegittima la preclusione assoluta dei benefici penitenziari per chi decide di non collaborare con la giustizia. Secondo il consigliere del Csm, tali pronunce rischierebbero di far raggiungere l’obiettivo dei corleonesi. Eppure parliamo di un’ala che non esiste più, sconfitta ramai quasi 30 anni fa. Un’ala che fu soppiantata subito dopo da quella che ha scelto la via della “sommersione”.

Le stragi di mafia in realtà hanno sortito l’effetto contrario

Una Cosa nostra diversa, quella che ha scelto di compiere il suo sporco malaffare senza uno scontro “militare” contro lo Stato.Di fatto, la nuova Cosa nostra ha scelto una via più funzionale al suo sistema. D’altronde le stragi di mafia in realtà hanno sortito l’effetto contrario. La strage di Via D’Amelio ha accelerato l’attuazione del 41 bis, stragi che hanno di fatto anche inasprito l’ergastolo ostativo, diverso da quello ideato da Falcone stesso. Ma Nino Di Matteo, legittimamente, ha una sua idea irremovibile: la nuova legge sull’ergastolo ostativo non deve scoraggiare la collaborazione con la giustizia e, soprattutto, non deve far ritornare in libertà i mafiosi condannati per le stragi. In realtà, come hanno detto alcuni magistrati di sorveglianza auditi in commissione, ciò è davvero difficile, basti vedere il permesso premio respinto ai vari boss stragisti. La stragrande maggioranza degli ergastolani ostativi, non sono boss stragisti Più in generale, sono numeri da prefisso telefonico coloro che hanno avuto accesso ai benefici. Senza tener conto, che la stragrande maggioranza degli ergastolani ostativi, non sono boss stragisti. Di Matteo, precisa che le sue opinioni sono nel pieno rispetto della Corte costituzionale e del principio dell’articolo 27 della Costituzione, ma per gli ergastolani ostativi bisogna essere più rigidi possibile. Per questo ritiene condivisibile che sia «onere del detenuto, dimostrare effettivamente, oltre alla condotta trattamentale, gli elementi concreti che dimostrino il mancato pericolo di ripristino con la criminalità organizzata». Eppure tale previsione è a rischio di incostituzionalità, come hanno sottolineato diversi magistrati come i rappresentanti dell’Anm e i giudici si sorveglianza. Altra perplessità espressa da Nino Di Matteo, è l’esclusione dal testo base della competenza specifica a un unico tribunale a cui demandare le decisioni. «Mi preoccupa la frammentazione delle competenze – ha spiegato il consigliere -, penso al rischio di un magistrato di sorveglianza sulla richiesta della liberazione condizionale su uno stragista. Aumenta il rischio di condizionamenti e di minacce». In realtà gli stessi magistrati di sorveglianza respingono duramente tale tesi. Si viola il principio della competenza del giudice naturale e rischia di burocratizzare le scelte, visto che solo i giudici di sorveglianza, essendo territoriali, hanno la conoscenza diretta dei luoghi di detenzione e hanno gli strumenti necessari per compiere una scrupolosa valutazione.