Capita, a volte, che un avviso di garanzia cambi la storia di un paese. O quantomeno, senza esagerare troppo, di una legislatura. E capita che, a distanza di mesi, quell’avviso di garanzia si traduca in un’archiviazione. Chissà quale governo, e guidato da chi, avrebbe infatti affrontato terza e quarta ondata di coronavirus, gestito la campagna vaccinale e scritto il Pnrr se quel 21 gennaio 2021 all’allora segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, non fosse stato recapitato un avviso di garanzia che gli rendeva noto di essere indagato nell’ambito di “Basso profilo”, inchiesta della Dia coordinata dalla Dda di Catanzaro. È corretto chiederselo perché quell’avviso di garanzia fece naufragare il tentativo, che già aveva poche possibilità di successo, ma alcune ne aveva, dell’allora presidente del Consiglio di sopperire all’uscita dalla maggioranza dei renziani di Italia viva, mettendo in piedi un nuovo gruppo di responsabili al Senato del quale avrebbero dovuto far parte proprio i tre senatori democristiani Antonio De Poli, Antonio Saccone e Paola Binetti, con il benestare del loro segretario Cesa. Che una volta ricevuto l’avviso di garanzia si ritirò da qualsiasi trattativa. «Ho ricevuto un avviso di garanzia su fatti risalenti al 2017 - disse Cesa - Data la particolare fase in cui vive il nostro Paese rassegno le mie dimissioni da segretario nazionale con effetto immediato». Una frase che suscitò lo sconforto di Conte, che già si vedeva di nuovo a palazzo Chigi alla guida del suo terzo governo consecutivo (con tre maggioranza diverse), ma non quello di gran parte dei Cinque Stelle, che fino a qualche ora prima facevano i salti mortali pur di dimostrare all’acerrimo nemico Renzi di poter governare, di nuovo, anche senza di lui. Le cose cambiarono, in men che non si dica, non appena la notizia dell’indagine su Cesa divenne di dominio pubblico, perché va bene sostenere a spada tratta Conte ma a tutto c’è un limite. E trattare con un partito il cui segretario è indagato per concorso esterno in associazione mafiosa proprio no. «Con chi è sotto indagine per associazione a delinquere nell’ambito di un'inchiesta di 'ndrangheta non si parla, punto», si affrettò a dire Alessandro Di Battista, spalleggiato dal ministro degli Esteri Luigi Di Maio. «Con la stessa forza con cui abbiamo preso decisioni forti in passato - affermò l’enfant prodige di Pomigliano d’Arco - ora mi sento di dire che mai il M5S potrà aprire un dialogo con soggetti condannati o indagati per mafia o reati gravi». Fu in quel momento, più che nell’assurdità dell’inutile corsa al voto del mitico senatore Lello Ciampolillo, che finirono le possibilità dell’avvocato del popolo di guidare il suo terzo governo. A dieci mesi da quelle ore concitate, la posizione di Cesa è stata archiviata dal gip del Tribunale di Catanzaro, Valeria Isabella Valenzi, che ha accolto la stessa richiesta della Dda. L’ex segretario dell’Udc, che all’epoca dei fatti, nel 2017, era europarlamentare, era accusato di associazione per delinquere aggravata dal metodo mafioso per presunti rapporti illeciti tra alcune cosche di ‘ndrangheta del crotonese con imprenditori ed esponenti della pubblica amministrazione. Nello specifico, a Cesa veniva attribuita la responsabilità di avere aiutato due imprenditori, indagati nella stessa inchiesta e ritenuti legati ai clan del crotonese e del reggino, a ottenere appalti nel settore della fornitura di materiali per l’antinfortunistica. Secondo la Dda, però, non sussistono elementi per provare la sua appartenenza all’associazione sgominata con l’operazione “Basso profilo”. Da qui l’archiviazione, che Cesa ha commentato in questo modo. «Da credente ringrazio Dio: questa vicenda mi ha creato un grande dolore - ha spiegato - A mio figlio, quando il Covid mi ha costretto al ricovero, ho detto che se mi fosse capitato qualcosa di grave avrebbe dovuto difendermi fino in fondo, perché con questa storia non avevo nulla a che vedere. E oggi sono soddisfatto dall’esclusione del mio nome dalla richiesta di rinvio a giudizio. È un motivo di grande soddisfazione». In questi dieci mesi Cesa ha dovuto infatti anche affrontare le criticità del coronavirus, mentre il nuovo governo nato nel frattempo, e guidato dall’ex presidente della Bce, Mario Draghi, si insediava a palazzo Chigi. Lo slogan «O Conte o morte» del Pd non funzionò, il presidente del Consiglio fu costretto alle dimissioni e il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nominò Draghi. Che ottenne la fiducia dell’intero Parlamento, compresi i tre Udc, ad esclusione di Fratelli d’Italia e di altri battitori liberi. Una piccola rivoluzione che in molti considerano il vero lascito politico dell’inquilino del Colle, vista la legislatura partita con il governo Lega-M5S, ma che ancora una volta, chissà, non sarebbe nata senza un avviso di garanzia finito poi nel nulla. Come già capitato tante volte. Anzi, troppe.