«Per non dare forza alla robusta minoranza di sostenitori delle teorie antiscientifiche non dobbiamo far diventare i suoi rappresentanti dei martiri della libertà e lo si può fare soltanto consentendogli di esprimere le loro idee». La pensa così il costituzionalista Michele Ainis che aggiunge: «Il fatto che la cifra di prime dosi somministrate stia di gran lunga diminuendo significa che la parte di opinione pubblica che non ne vuole sapere si è radicalizzata nel Paese».

Professor Ainis, nella circolare diffusa dal Viminale si tutela il diritto al dissenso ma specificando che «vi sono elevate criticità per l’ordine pubblico», e per questo si invitano i prefetti a individuare «luoghi interdetti alle manifestazioni » da cui deriva un «potenziale pericolo per l’aumento dei contagi». Come si concilia diritto al dissenso e tutela della salute?

L’esperienza ormai biennale della pandemia ci costringe a camminare su una corda come gli acrobati. Per il green pass si è cercato di mediare tra la libertà di non vaccinarsi e la possibilità di stabilire l’obbligo del vaccino. Anche nel caso della libertà di riunione non c’è un divieto di manifestare, ma vengono posti dei limiti alle manifestazioni per cercare di contemperare a esigenze della salute collettiva.

Pensa ci siano dei motivi d’allarme che derivano dal «mettere il bavaglio» ai cortei?

Nella Costituzione è già prevista la possibilità che si limiti la libertà di manifestare per motivi di incolumità e sicurezza pubblica, ma in questo caso stiamo dentro a un difficile equilibrio costituzionale e quello che sta diventando motivo di allarme è l’eventualità che queste misure restrittive abbiano un bersaglio con nome e cognome. Questo non può accadere e sarebbe fuori dalla Costituzione vietare le manifestazione degli ambientalisti piuttosto che dei no vax.

Provvedimento che però non è stato preso, visto che la circolare riguarda tutti i tipi di manifestazione.

Questo non c’è scritto nella circolare, ma credo che la più scellerata delle opinioni vada salvaguardata nella libertà di esprimersi del soggetto pensante. Proprio dando la possibilità all’opinione esecrabile di essere manifestata si rafforza nei più l’adesione all’opinione avversa. Faccio un esempio: una persona può non sentirsi antifascista, ma se poi vede un corteo fascista che dice frasi deliranti ecco che a quel punto si sente antifascista. C’è insomma una qualità pedagogica nel consentire la manifestazione del pensiero esecrabile.

È possibile limitare cortei e manifestazioni in determinate aree, penso ad esempio alla città di Trieste dove c’è un forte aumento dei contagi?

È possibile, legittimo ed è già successo. Quando i sindaci hanno chiuso delle aree perché erano zone rosse, magari corrispondenti a un piccolo comune, lì non si potevano tenere cortei. Lo sforzo di non impedire le manifestazione è del tutto sensato, così come è sensata la possibilità di permetterle in zone meno rischiose per la diffusione del contagio.

È preoccupato dalla possibilità che il divieto di manifestare possa appesantire un clima già teso tra le parti?

Il clima che sta montando, che è un clima di scarsa tolleranza, di certo mi preoccupa. C’è in generale uno squilibrio nella comunicazione: da un lato è comprensibile e anche condivisibile, perché come ha detto il presidente della Repubblica «dobbiamo combattere la pandemia con gli strumenti che abbiamo, come il vaccino». E quindi che ci sia una comunicazione orientata nel messaggio «vaccinatevi e scaricate il green pass» è comprensibile; dall’altro si tende a dare meno respiro alle diverse opinioni, con il rischio di ottenere il risultato opposto.

Si spieghi meglio.

Penso che non sia una buona idea, ad esempio, censurare le parole di monsignor Viganò, secondo il quale in sostanza chi muore per Covid in realtà viene ucciso. Quelle parole sono un assoluto delirio, ma dal mio punto di vista finiscono per far aumentare le persone che vogliono vaccinarsi, perché sono talmente assurde che nessuno gli va dietro. Lo sforzo di permettere nell’arena pubblica l’opinione dissenziente e delirante dovrebbe appartenere soprattutto al servizio pubblico, alla Rai. Bisogna dare maggiore accesso a queste opinioni, ma nella logica, come diceva John Stuart Mill, che «si impara più dalla rappresentazione dell’errore che da un bel sermone che si ascolta da un pulpito».

C’è secondo lei la possibilità che si raggiunga un dialogo tra oppositori delle teorie scientifiche e istituzioni?

Il fatto che la cifra di prime dosi somministrate stia di gran lunga diminuendo significa che la parte di opinione pubblica che non ne vuole sapere si è radicalizzata nel Paese. Ma per non dare forza a questa robusta minoranza non dobbiamo far diventare i suoi rappresentanti dei martiri della libertà. E lo si può fare soltanto consentendogli di esprimere le loro idee. Tuttavia ricordo, per concludere, che la circolare del Viminale si inserisce in un contesto di stato di emergenza, che è una condizione giuridica e che legittima delle misure che comprimono i diritti in nome dell’interesse alla salute.