La guerra di posizione prima della battaglia in campo aperto del Colle era probabilmente inevitabile prima di una scadenza che, sempre difficile e incerta, lo è più che mai in questa occasione. L'obiettivo inconfessato e inconfessabile al momento è uno solo: bloccare la possibile ascesa di Mario Draghi. Nessuno può dire che non sarebbe un buon presidente: col clima corrente sarebbe più o meno lesa maestà. Nessuno può ammettere di non volere il premier capo dello Stato. Però tutti si adoperano per impedire che la sua corsa inizi. Anche perché se si arrivasse a una sorta di “candidatura ufficiale” negare la nomina sarebbe quasi impossibile. Dunque bisogna evitare che Draghi scenda in campo, o autorizzi qualcuno a candidarlo ufficialmente. Non è un caso che negli ultimi giorni molti, da Conte a Fi, si affannino a sottolineare quanto importante sia la permanenza di Draghi a palazzo Chigi. C'è il Pnrr che ancora non è affatto decollato? E chi se ne dovrebbe e potrebbe occupare se non il migliore per antonomasia? La stessa insistenza di Giorgia Meloni sulle elezioni in caso di promozione istituzionale dell'attuale premier ha due obiettivi: fare un passo verso le elezioni che vuole più di chiunque altro in Parlamento ma anche fissare un prezzo molto salato per la sua eventuale partecipazione all'operazione. Passaggio non essenziale ma neppure trascurabile. Una presidenza Draghi avrebbe senso solo se sostenuta dalla totalità o quasi del Parlamento e se è vero che l'assenza di un solo partito non annullerebbe il senso del “presidente di unità nazionale” è anche vero che quell'unico partito è oggi, secondo i sondaggi quello di maggioranza relativa. Poi c'è Renzi, per postazione e doti personali il più indicato per curare la regia della presidenza prossima ventura. Ma anche lui, il più draghiano del bigoncio, in realtà frena. Quando assicura che l'ex presidente della Bce sarebbe bravissimo come presidente proprio come lo è in veste di premier ma lo sarebbe anche come guida della Commissione europea, in politichese sta dicendo che per carità Draghi è il sommo, però meglio a Bruxelles che al Quirinale. Messaggi precisi e inequivocabili tutti rivolti al medesimo indirizzo, al candidato in pectore lui medesimo, a Mario Draghi, perché capisca l'antifona e rinunci per tempo. I motivi di questa ostilità trasversale sono diversi. Alcuni verrebbero risolti da una ancora possibile resa di Mattarella, dalla sua disponibilità a occupare l'istituzione più alta ancora per un po', se non addirittura per un intero secondo mandato come qualcuno vagheggia. Altri invece si riproporrebbero identici anche tra un paio d'anni, ove Mattarella accettasse la proroga ma solo a tempo limitato. Per la massa dei parlamentari il problema principale è arrivare a fine legislatura. Non solo alla pensione, in settembre, ma fino all'ultimo giorno utile. Sarebbe un'incognita in ogni caso. Lo è tanto più con un esercito di parlamentari in libertà, senza più partito d'appartenenza, completamente sciolti e forse decisivi. L'annuncio di Giorgia Meloni per cui anche Salvini è favorevole al voto in caso di elezione di Draghi rischia di essere la campana a morto per quell'ipotesi e comunque, se vera, significherebbe che Salvini ha scelto di abbandonare l'idea di Draghi presidente, considerandolo omogeneo al progetto di Giorgetti e non al al suo. In altri casi, tra i quali Renzi, il problema è che un Draghi eletto all'unanimità o quasi impedirebbe di sfruttare l'occasione di febbraio per costruire opzioni da mettere poi in campo alle prossime elezioni politiche, o subito dopo. Proprio questo, probabilmente, è il ragionamento che frena Renzi. Ma Draghi rappresenta anche, per molti, un problema in sé. Per l'ala sinistra della maggioranza, LeU e 5S, l'aver rimpiazzato Conte è una ferita ancora aperta. Conte, che in tutta evidenza non ama il premier che lo ha sostituito, potrebbe comunque acconciarsi a votarlo per diplomazia e calcolo, ma non è affatto detto che tutti i suoi lo seguirebbero ed è un altro elemento di incertezza assoluta. Ma soprattutto, Draghi è un presidente troppo ingombrante per tutti i partiti. La levata di scudi contro la “proposta Giorgetti”, quella di un semipresidenzialismo di fatto, era dovuta. Ma tutti si rendono conto che quella del ministro dello Sviluppo era più una constatazione che una proposta, e che Draghi non sarebbe comunque un presidente come gli altri. Super Mario ha comunque ancora molte carte da giocare se, come molti pensano ma senza che nessuno ne sia davvero certo, mira davvero al Quirinale. Di certo, la vera corsa al Colle comincerà quando, in un modo o nell'altro, si sarà fatta chiarezza sulla candidatura Draghi.