«Il Consiglio d’Europa ha registrato un caso di intimidazione da parte del procuratore siciliano con delega europea, Calogero Ferrara, nei mie confronti. La segnalazione, promossa dalla Federazione Europea dei Giornalisti, è stata inserita nella categoria “persecuzioni e intimidazioni nei confronti dei cronisti” attribuibili allo Stato. Dopo che, con il Guardian, avevamo dimostrato che la Procura di Palermo aveva arrestato un rifugiato per errore, scambiandolo per uno dei più potenti trafficanti di uomini, ancora oggi a piede libero e che la Corte d’Assise aveva confermato la nostra tesi con l’assoluzione dell’imputato per acclarato errore di persona. Dopo essere finito personalmente nelle carte del processo, intercettato mentre parlavo con una mia fonte, e le mie conversazioni depositate nel processo che stavo seguendo per il Guardian. Dopo tutto questo, Ferrara cita me e Romina Marceca di Repubblica in giudizio in sede civile per diffamazione». A raccontare la vicenda sul proprio profilo Facebook è Lorenzo Tondo, giornalista italiano corrispondente del Guardian, finito nel mirino del magistrato Ferrara dopo aver realizzato un'inchiesta sull'arresto del giovane eritreo Medhanie Tesfamariam Behre per traffico di esseri umani. Un clamoroso errore giudiziario raccontato sul Guardian proprio da Tondo, diventato, però, anch'egli vittima dell'errore della procura. Mercoledì scorso la piattaforma del Consiglio d'Europa per la libertà di stampa ha dunque segnalato il procuratore per intimidazione e persecuzione. «Secondo il Consiglio d’Europa - continua Tondo - questa mossa denoterebbe un uso malevolo dello strumento giudiziario, non più volto ad ottenere giustizia ma a mettermi un bavaglio, perché da quando è iniziata tutta questa vicenda giudiziaria, per ragioni di “prudenza” non ho più potuto scrivere sul caso “Mered” per il Guardian. Non solo, la citazione in giudizio arriva a pochi mesi dalla sentenza di appello del processo Mered. Quando lavori ad un’inchiesta, quando ci metti il cuore, veramente, essa ti seguirà fino alla fine dei tuoi giorni. Nel bene e nel male. Perché se da un lato essa ha avuto un impatto positivo su una o più persone, dall’altro, irrimediabilmente, quell’inchiesta avrà dato certamente fastidio a qualcuno. Avrà scombussolato i suoi piani. Li avrà magari stravolti. Io sono di certo un privilegiato, perché posso contare sul supporto legale del Guardian. Ma penso a tutti quei cronisti, precari, sottopagati, costretti a fare i conti con le querele temerarie in giro per l’Italia, senza alcun appoggio. Questa battaglia che porteremo avanti è anche per loro. Perché siamo stanchi delle vostre intimidazioni». «Siamo stanchi di guardarci le spalle da chi dovrebbe proteggerci - conclude il giornalista -. Perché se voi, uomini dello stato, sbagliate, io, da cronista, voglio e devo sentirmi libero di scriverlo, di parlarne. Ringrazio l’avvocato del Guardian in questa causa, Andrea Di Pietro, ringrazio la European Federation of Journalists - EFJ per il loro appoggio, e tutti i colleghi che hanno fatto scudo in questi giorni». La prima udienza del processo per diffamazione è stata fissata a febbraio 2022. Secondo il Consiglio d'Europa, le azioni legali impediranno di fatto a Tondo di svolgere il proprio lavoro. Nel luglio 2019, il giudice Alfredo Montalto ha respinto il caso dei pubblici ministeri contro Berhe e ne ha ordinato l'immediato rilascio. «È stato un caso di scambio di identità - aveva spiegato -. L'uomo in prigione è stato arrestato ingiustamente». Berhe è stato riconosciuto colpevole di favoreggiamento all'immigrazione clandestina per aver aiutato il cugino a raggiungere la Libia. Poiché aveva già scontato tre anni di carcere, il giudice ne ha ordinato però l'immediato rilascio. Secondo i giudici, le accuse dei pubblici ministeri in alcuni casi «apparivano palesemente inconsistenti e inadeguate». I pm hanno presentato appello e il processo è iniziato il 27 ottobre, ma ora Tondo non ne potrà scrivere. Tra dicembre 2019 e gennaio 2020, al giornalista sono state notificate due cause civili per diffamazione intentate da Ferrara: una per il suo post su Facebook e una per i suoi articoli pubblicati sul Guardian. Assieme a lui, anche Romina Marceca, giornalista di Repubblica, è stata citata in giudizio da Ferrara per il suo reportage sul processo originale. Alberto Spampinato, direttore di Ossigeno per l'informazione, organizzazione nata per difendere i diritti dei giornalisti, come riposta il Guardian, ha dichiarato che «criticare un pm in Italia è rischioso. Se un giornalista osa farlo, è probabile che il pm lo querelerà per diffamazione e lo costringerà a difendersi in tribunale e a sostenere le relative spese. Eventi di questo tipo non sono rari e mettono in seria difficoltà i giornalisti. Ossigeno per l'informazione continuerà a sostenere Lorenzo Tondo in questa battaglia legale e continuerà a farlo, al fianco del Guardian e della community dei giornalisti europei». (In foto: a sinistra il giornalista Tondo, a destra il pm Ferrara)