Cinquantadue nomi, dai procuratori aggiunti di Roma al procuratore di Napoli, fino all’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara, passando per la presidente del Senato Maria Alberta Elisabetta Casellati, in qualità di ex membro del Csm e diversi giornalisti. È la lista testi depositata dall’ex presidente dell’Anm Luca Palamara al Tribunale di Perugia, dove lunedì 15 novembre inizierà il processo che lo vede imputato per corruzione. Insieme a lui a processo per concorso nel reato di corruzione per l’esercizio delle funzioni anche Adele Attisani. La difesa dell’ex pm romano, rappresentata dagli avvocati Roberto Rampioni e Benedetto Marzocchi Buratti, vuole dimostrare, in primo luogo, «l’inutilizzabilità delle operazioni d’ascolto con il trojan horse nonché la totale estraneità di qualsiasi ipotesi di asservimento funzionale del dottor Palamara nei confronti del dottor Centofanti (Fabrizio, che ha patteggiato un anno e sei mesi di condanna, ndr) e la assoluta regolarità dei provvedimenti disciplinari adottati in forma collegiale dalla sezione disciplinare del Csm nonché delle delibere plenarie in tema di incarichi direttivi. Infine l’inesistenza di qualsivoglia responsabilità in relazione alle residuali imputazioni» relative alla rivelazione ed utilizzazione di segreti d’ufficio. Palamara, dunque, contesta in primo luogo l’utilizzo del trojan, sollevando più di un dubbio sulla regolarità delle operazioni di captazione effettuate dalla Guardia di Finanza di Roma su delega della procura di Perugia. Il tema è, ormai, noto: la presenza, a Napoli, di un server “occulto” di proprietà di Rcs - la società che ha fornito ai magistrati gli apparati e i programmi per svolgere le intercettazioni a carico di Palamara - di cui nessuno, negli uffici giudiziari umbri, conosceva l’esistenza. Una macchina intermedia tra il telefono del pm e il server della procura di Roma, l’unico autorizzato a registrare i dati e trasmetterli alla sala di ascolto della Guardia di Finanza, che non si sarebbe limitata a fare da ponte per la trasmissione dei dati, bensì avrebbe immagazzinato file audio, tanto da essere ancora presenti nel momento in cui sono stati effettuati gli accertamenti irripetibili disposti dalle procure di Napoli e Firenze. I primi a finire sulla lista di Palamara sono dunque proprio i finanzieri incaricati di indagare sul suo conto, ai quali la difesa chiederà conto degli accertamenti eseguiti nei confronti dell’ex pm e del deputato Cosimo Ferri, comprese le modalità con le quali sono stati accertati gli asseriti “elementi di opacità” nel rapporto tra i due, l’identificazione dei partecipanti alla cena all’Hotel Champagne - durante la quale si discusse della nomina del procuratore di Roma -, sui progressivi mancanti e sulle modalità di predisposizione del servizio di ascolto delle operazioni di intercettazione. E la difesa vuole anche conoscere i motivi per cui, nonostante il pm di Perugia avesse intimato alla polizia giudiziaria di spegnere i microfoni in caso di incontri con parlamentari, ciò non è avvenuto. Una contestazione, questa, sollevata anche da Ferri davanti al Csm - dove ora si trova sotto procedimento disciplinare - e davanti alla giunta per le autorizzazioni della Camera, che mercoledì prossimo si riunirà nuovamente per decidere se rendere o meno utilizzabili quelle conversazioni, dichiarate «illegittime» dal deputato. A rendere conto di come abbia funzionato il trojan sarà anche Duilio Bianchi, direttore della divisione Ip della Rcs, al quale la difesa chiederà anche come mai alcune registrazioni siano state interrotte. A parlare della presenza dei server a Napoli anche il procuratore partenopeo Giovanni Melillo, chiamato a riferire sulle modalità di registrazione e programmazione del trojan. Leggi la versione completa sul Dubbio di domani