Secondo l’ultimo rapporto Corruption Perception Index di Transparency International il nostro Paese si classificherebbe al 52esimo posto su 180 per corruzione percepita. Ma per il sociologo Gian Maria Fara, fondatore e presidente dell’Eurispes, «le agenzie internazionali che elaborano le classifiche producono dei risultati privi di fondamento scientifico perché sono rilevazioni di carattere soggettivo e non oggettivo. Il risultato di una simile narrazione, scorretta quanto pericolosa, è stato il progressivo abbassamento dell’appeal del nostro Paese».

Quello della corruzione percepita è un tema a cui il professor Fara tiene molto. Solo due anni fa l’istituto da lui presieduto presentò il volume “La corruzione tra realtà e rappresentazione. Ovvero: come si può alterare la reputazione di un Paese”, a cura del magistrato Giovanni Tartaglia Polcini. L’obiettivo era quello di verificare la fondatezza del giudizio espresso nei confronti dell’Italia dai più comuni indicatori di natura percettiva diffusi sul piano globale.

In questi giorni si è tornati a parlare della corruzione percepita. Report internazionali ci pongono in basso alle classifiche, tra i Paesi in cui l’indice di percezione della corruzione è altissimo.

Si tratta di un argomento che ci sta molto a cuore e che seguiamo con grande attenzione. Noi siamo da un paio di anni in polemica con le agenzie internazionali che descrivono l’Italia come una nazione ad altissimo tasso di corruzione. Addirittura ci piazzeremmo appena prima di Paesi africani, con tutto il rispetto per loro. Qualcuno definisce questo fenomeno “sindrome del Botswana”, inteso come tendenza ad accostare il nostro Paese a Stati difficilmente assimilabili all’Italia per livello di benessere e di ricchezza. È quindi un modo sbagliato di rappresentare il reale fenomeno della corruzione. Nelle nostre presentazioni e documenti abbiamo parlato del cosiddetto ‘ paradosso di Trocadero’ per cui più si combatte la corruzione, come accade in Italia, più la stessa si rende percepibile.

Ci spieghi meglio.

In Italia esiste una elevata attività d’indagine da parte della magistratura contro la corruzione. Anzi, aggiungerei che, vista la capillare presenza dei carabinieri, della polizia e della Guardia di finanza sul territorio, ci sono veramente pochi casi che possano sfuggire all’osservazione.

Il sistema giuridico italiano ha alcune peculiarità ordinamentali che lo caratterizzano: l’autonomia del pubblico ministero, l’indipendenza della magistratura in genere, l’obbligatorietà dell’azione penale, l’assoluta libertà di stampa in ordine alla pubblicazione anche delle notizie di reato fin dalle prime battute dell’indagine. Eppure più si perseguono i fenomeni corruttivi sul piano della prevenzione e le fattispecie di reato sul piano della repressione, maggiore è la percezione del fenomeno. L’effetto distorsivo collegato a questo ha concorso a penalizzare soprattutto gli ordinamenti più attivi dal punto di vista della reazione alla corruzione. Poi c’è un altro grande problema.

Prego.

Le agenzie internazionali che elaborano le classifiche producono dei risultati privi di fondamento scientifico perché sono rilevazioni di carattere soggettivo e non oggettivo. Chiedono a un campione di cittadini “credi che nel tuo Paese sia alto il livello di corruzione?”. Più dell’ 80% risponde “sì”. Ma alla domanda specifica se negli ultimi 12 mesi avessero vissuto, direttamente o tramite un membro della propria famiglia, un caso di corruzione, la risposta è negativa nella stragrande maggioranza dei casi, in linea con le altre nazioni sviluppate.

Dietro questa rappresentazione soggettiva è giusto dire che ci sia una marcata cultura del sospetto?

Certamente. Inoltre più si parla di corruzione e più si è portati a credere che il fenomeno sia in aumento. E poi c’è una tendenza aberrante a trovare subito un colpevole, a condannare prima di un processo. Se qualcuno è indagato per corruzione, si è subito portati a condannarlo. E questo aumenta la percezione del malaffare.

Non è nelle nostre corde seguire l’andamento dei processi, abbiamo l’urgenza di sparare titoloni sui giornali. Se poi l’imputato verrà assolto, nessuno forse lo saprà. Io sono un garantista e per me il rispetto del comma 2 dell’articolo 27 della Costituzione è sacrosanto. Di certo non vogliamo sottovalutare il fenomeno della corruzione, tuttavia il nostro lavoro è quello di studiarlo con indicatori oggettivi e valorizzare anche l’attività di contrasto alla corruzione che il nostro Paese mette in campo, tra le migliori al mondo.

Una cattiva rappresentazione del fenomeno corruttivo che conseguenze ha?

Il risultato di una simile narrazione, scorretta quanto pericolosa, è stato il progressivo abbassamento dell’appeal del nostro Paese e dei suoi principali attori economici sul piano imprenditoriale e finanziario, con gravi ricadute in termini di crescita e di sviluppo economico e occupazionale.

A proposito di indicatori oggettivi, voi citate le statistiche giudiziarie. Nel 2019 avete presentato l’Indagine sul processo penale in Italia' in collaborazione con l’Ucpi: è emerso che le condanne incidono per il 43,7% delle sentenze. E secondo i dati Anci solo il 2% dei procedimenti per abuso d’ufficio termina con una condanna definitiva. Per interpretare bene il fenomeno non servirebbero dati centralizzati? Sapere da tutti gli uffici giudiziari quanti procedimenti vengono iscritti e come finiscono?

Certamente, ma sarebbe necessario anche capire quanto tempo impiegano a concludersi. Il fenomeno della corruzione è complesso: dare patenti di corrotto a un ente, a una istituzione, a uno Stato è facilissimo. Più complicato è stabilire le dimensioni reali del fenomeno. Noi per il nostro rapporto abbiamo seguito centinaia di processi, abbiamo consultato le sentenze, abbiamo seguito un metodo assolutamente scientifico, perché sappiamo quanto è delicata la materia.