Non è il solito scontro interno a Forza Italia, col delfino di turno che, stanco di nuotare solo nell'acquario di Arcore, tenta di forzare e finisce di solito dimenticato. Stavolta a guidare l'ammutinamento sono i berlusconiani doc, addirittura le due favorite del gran capo fino a pochissimo tempo fa, Mara Carfagna e Mariastella Gelmini. E stavolta, caso unico, Berlusconi è direttamente in campo: rintuzza, replica sferza. C'è qualcosa di vero, stavolta, nella tirata retorica per cui i ribelli si dichiarano i più fedeli alla purezza forzista. Non c'è solo questo ovviamente. Tra i tre ministri, le due di cui sopra e Renato Brunetta, da un lato e Antonio Tajani dall'altro è in corso anche una pura lotta di potere. Far passare Tajani per populista anti- europeo è una forzatura assoluta. L'ex presidente dell'europarlamento ha molti limiti, di certo non è il più indicato per ereditare la corona del monarca azzurro. Ma estremista e populista proprio non è. Lo scontro è puramente di potere e solo chi non conosce la politica può stupirsi di fronte a una guerra per la guida di un partito in fase di smobilitazione. Capita sempre.

Però non c'è solo questo aspetto, il più triviale negli scontri politici. Ma per capire la posta in gioco bisogna mettere a fuoco cosa è stata Fi nei decenni del suo apogeo: un partito moderato di massa. Aldilà delle dichiarazioni a tratti pittate di radicalismo, soprattutto all'inizio, ai tempi effimeri della “rivoluzione liberale”, nonostante le sparate demagogiche anticomuniste, che nessuno ha mai preso troppo sul serio, Forza Italia, da questo e solo da questo punto di vista, è stata davvero l'erede della Dc. Un partito di centrodestra però moderato, capace di stemperare, ammorbidire e normalizzare i propri “barbari” alleati. Ogni altro paragone con la Democrazia cristiana sarebbe illecito. Lo scudocrociato era un partito vero e profondamente popolare, non una monarchia mediatica. Vantava una reale classe dirigente e una robusta ala sinistra che, a differenza di quella destra, nella monarchia di Arcore non è mai spuntata. Ma fatte salve tutte le immense differenze i due partiti egemoni nella prima e nella seconda Repubblica incarnavano la stessa offerta politica, rivolta alla fascia di elettorato da sempre decisiva e maggioritaria: quella appunto di un partito centrista sbilanciato a destra ma privo di venature estreme e inquietanti.

Quella formula è finita. Forza Italia, come partito moderato di massa, non ha possibilità di risorgere esattamente come non ne ha la Balena bianca. Lo scontro tra il fondatore e sovrano e i suoi fino a ieri vezzosi favoriti deriva da questo snodo, non dalla linea politica. Il Cavaliere nutre nei confronti di Salvini e Meloni gli stessi sentimenti che ha esplicitato ieri, a nome di tutti i ribelli, Brunetta. Il suo europeismo e il suo moderatismo non sono meno sinceri e persino caratterialmente radicati di quelli degli ammutinati. Ma Berlusconi non ha alcuna intenzione di fare del suo partito azzurro un piccolo e influente partito centrista e magari tecnocratico, come il vecchio Partito repubblicano. Non intende sminuire l'antica portaerei azzurra riducendola a una imbarcazione tra le tante che cercano confusamente di sedimentare una flotta moderata, come un Renzi o un Calenda qualsiasi. Soprattutto non ha alcuna intenzione di essere costretto a un gioco di margine. L'intero mondo politico può anche ritenerlo un pensionato di lusso ormai privo di ogni ruolo incisivo. Lui in quella parte proprio non ci si vede e non ha alcuna intenzione di farcisi costringere.

I tentativi di unificazione con la Lega e di trascinare il Carroccio nel Ppe rispondono a questa esigenza: ricostruire un partito di massa nel quale Fi, giocando di sponda con l'ala più pragmatica e governista del Carroccio, sarebbe egemone. Ma quei tentativi hanno sin qui sbattuto e continuano a sbattere contro il carattere, prima che contro le idee, di Salvini che, come dimostra ogni giorno, non è in grado di cambiare pelle per trasformarsi in moderato e ragionevole come lo vorrebbero Berlusconi e Giorgetti. Dunque Berlusconi ha deciso di giocare una carta che da un lato riporterà al centro della scena e dall'altro costringerà tutta Fi e tutta la destra a sostenerlo: quella dell'apparentemente folle corsa per il Quirinale. Non è affatto una decisione ebbra. È anzi forse la sola strategia in grado di ricompattare la destra lacerata e di restituire per un po' lo scettro all'unico leader che a destra possa impugnarlo senza provocare un guerra civile.