Una guerra senza esclusione di colpi. E accuse incrociate, che confermano quello che ormai per tutti è chiaro: la procura di Milano è un colabrodo. Al centro di tutto sempre la vicenda Eni e il ruolo di Piero Amara, ex avvocato esterno della società, che con le sue dichiarazioni ha tirato in ballo mezzo mondo delle istituzioni. Lo ha fatto parlando della presunta “Loggia Ungheria”, sulla quale il pm milanese Paolo Storari avrebbe voluto fare chiarezza, non riuscendoci, a suo dire, per il presunto ostracismo dei vertici della procura. E il motivo, secondo quanto racconta il magistrato davanti ai colleghi di Brescia, è uno solo: non far morire il processo Eni- Nigeria screditando il grande accusatore Vincenzo Armanna. Il processo si è concluso comunque con l’assoluzione di tutti gli imputati. Ma stando ai verbali di Brescia, l’indagine sulla presunta associazione segreta sarebbe dovuta rimanere ferma «almeno due anni». O almeno questa sarebbe stata la richiesta, secondo Storari, avanzata dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, che nel processo a Eni rappresentava l’accusa assieme al collega Sergio Spadaro.

Le posizioni di tutte le parti in causa sono ora cristallizzate nei verbali raccolti dalla procura di Brescia, che nei giorni scorsi ha chiuso le indagini su Storari e Piercamillo Davigo (che ha ricevuto dal primo i verbali di Amara come forma di «autotutela»), accusati di rivelazioni di atti d’ufficio, nonché su De Pasquale e Spadaro ( nel frattempo passato alla procura europea) per rifiuto d’atti d’ufficio. In ballo rimane anche l’aggiunta Laura Pedio, sulla quale sono ancora in corso le indagini per omissione d’atti d’ufficio per non aver proceduto con le iscrizioni dei primi indagati in relazione alla vicenda Ungheria. Accusa che era stata mossa anche nei confronti del procuratore Francesco Greco, l’unico la cui posizione è stata archiviata, ma le cui dichiarazioni sono non per questo secondarie.

«Io per De Pasquale sono sempre stato un soggetto da tenere alla larga su questa vicenda perché più volte (...) diceva che io gli rovinavo il processo. Perché per lui Armanna (Vincenzo, grande accusatore di Eni, ndr) era un soggetto un po’ particolare ma che a lui credeva. Dicevo: “Guarda Fabio... secondo me è un calunniatore”», raccontava a maggio scorso Storari davanti al procuratore bresciano Francesco Prete. Secondo il pm, i suoi superiori non volevano dunque «disturbare» il processo Eni- Nigeria. E Pedio, che con lui condivideva il fascicolo sul “Falso complotto Eni”, nel quale erano confluite le dichiarazioni di Amara su Ungheria, prima della sentenza di assoluzione avrebbe riferito «l'insofferenza di De Pasquale», cristallizzata nella frase «la devi smettere di intralciare il mio processo» e nella richiesta «di non dire in giro» che Armanna era da considerare poco credibile, in quanto «crea un clima ostile» in aula. «Questa indagine deve rimanere ferma due anni», avrebbe fatto sapere De Pasquale a Storari tramite la collega, come emerso dall'interrogatorio dello scorso 15 settembre di Pedio davanti al procuratore Prete e al pm Donato Greco.

Storari aveva puntato il dito contro lei e il procuratore Greco, rei, a suo dire, di «selezionare e trasmettere a De Pasquale quello che gli serve nel processo Eni- Nigeria e a non trasmettere quel che lo danneggia». Come, ad esempio, le accuse di Amara al presidente del collegio giudicante, Marco Tremolada, ma non le presunte falsificazioni di chat e il presunto pagamento di un testimone. E per confermare la sua posizione, Storari avrebbe tirato fuori una mail di De Pasquale riguardo a dei verbali finiti nel fascicolo sul complotto: «Mi raccomando - avrebbe detto l’aggiunto - io le parti evidenziate in giallo le voglio... non fate troppe storie... me le dovete trasmettere». Insomma, «una operazione chirurgica di selezione delle cose che fanno comodo» a De Pasquale nel dibattimento e un’esclusione a priori di tutto ciò che, invece, lo avrebbe danneggiato. Pedio, però, ha evidenziato che «Storari cominciò a mandare degli elaborati... anche abbastanza complessi» di «100, 150 pagine l'uno (...) Molto di difficile lettura - ha riferito -. A me francamente non era chiaro cosa dovevano depositare i colleghi in dibattimento». Punto sul quale anche il procuratore Greco si è detto d’accordo.

Pedio ha spiegato anche il suo atteggiamento in relazione all’inchiesta sulla presunta Loggia Ungheria. «Rispetto a una notizia di reato così fluida, quindi noi mettevamo sotto intercettazione tutte le istituzioni italiane (...) andavamo dal Papa in giù? Questo era quello che si doveva fare? Secondo me no. E lo rivendico», ha affermato. Secondo Storari, invece, proprio quella genericità avrebbe richiesto un approfondimento, ma i vertici della procura «non intendevano fare nulla». I primi tre nomi quelli di Amara, Giuseppe Calafiore e Fabrizio Centofanti - vennero iscritti il 12 maggio 2020, cinque mesi dopo l’ultimo verbale dell’ex legale di Eni.

Ma dai verbali di Brescia emerge anche un altro dettaglio: secondo quanto testimoniato da un investigatore, quando da alcune chat era emerso che Armanna avrebbe pagato dei testimoni, Pedio avrebbe chiesto di «espungere» il riferimento a quegli accertamenti dalla relazione. «In pratica - ha affermato l'investigatore - ci chiese di verificare il riscontro della dazione per vedere se fosse vero che Armanna aveva fatto pervenire 50mila dollari a Ayah ( un teste nigeriano, ndr). Aderimmo alla richiesta della dottoressa Pedio e depositammo la relazione definitiva espungendo la frase (...) togliemmo dalla definitiva anche i paragrafi relativi al pagamento, informando Storari che decise di emettere un ordine di indagine europeo per verificare questo pagamento». Insomma, quando dagli accertamenti sul telefono di Armanna «vengono fuori una serie di falsità, si cerca di creare uno schermo per evitare che queste falsità» vengano «messe a conoscenza delle difese e anche del Tribunale che stava celebrando il processo Eni- Nigeria».