A nessuno verrebbe in mente di mettere sotto lalbero di Natale o di presentarsi alla cena della Vigilia da amici o parenti con un libro di testo giuridico come regalo: si porta in dono un bel libro fotografico sui canyon americani o un cofanetto con gli ultimi thriller italiani o un ricettario di una qualche presentatrice che ha avuto successo con i suoi intingoli semplici da preparare in non più di dieci minuti. Puoi averlo anche ben confezionato con la carta dorata e un bel nastro variopinto ma con un libro di sentenze di questa e quella Corte dAppello o dove si raccoglie la giurisprudenza della Corte costituzionale in merito a una serie di argomenti pure sociali, in regalo, corri il rischio di suscitare delusione. Sempre che non te lo tirino dietro, e decidano di non invitarti più. Eppure. È proprio questo il primo pregiudizio da superare: tra letteratura e diritto esiste un nesso inscindibile, e questo nesso, questa terra di mezzo è proprio la parola. Evocativa, suggestiva, complessa nella letteratura; precisa, dettagliata, normativa nella giustizia: cosaltro è una sentenza, se non parola che si traduce in pena o assoluzione? Direi intanto che letteratura e diritto la parola della narrativa, della poesia, e la parola della legge hanno oggi una questione comune da affrontare, che è il prevalere della parola mediatica. È una questione che chi conosce il nostro giornale, i suoi intenti, le sue battaglie, avrà riscontrato spesso nelle sue pagine: troppe trasmissioni televisive, troppe campagne mediatiche vanno sovrapponendosi e sostituendosi ai luoghi propri dellesercizio e dellamministrazione della giustizia come esercitando un diritto altro, spesso primitivo. E i loro linguaggi, la loro grammatica è obbligatoriamente semplificata, i loro personaggi (persone reali, in carne e ossa) incarnano troppo semplicisticamente il bene o il male annichilendo proprio quella sfaccettatura di sentimenti, di intenzioni, di animo che sempre alberga nella cronaca, e a cui la letteratura attinge, per indicarci la complessità del mondo e delle relazioni tra gli uomini. Tempo fa, Roberto Esposito, che di mestiere fa il filosofo, chiedeva ( Diritto & castigo. Quando il romanzo detta legge. Viaggio nella colpa, da Kafka a Camus, la Repubblica, 27 dicembre 2012): «Cosa può mai congiungere il diritto alla letteratura? Un solco profondo sembra separare la fluidità senza confini della scrittura letteraria e la rigidità di un ordine giuridico volto a discriminare la condotta lecita da quella illecita». Eppure, proprio su questa intersezione, su questo ponte sospeso esiste ormai da decenni una vera e propria accademia (soprattutto negli Stati Uniti) che ha prodotto opere notevoli, oltre che corsi universitari di elevato spessore culturale e scientifico. Come ha scritto Gabrio Forti nella sua introduzione al primo volume di Giustizia e letteratura, la raccolta e lelaborazione di un ciclo di seminari sotto la guida del Centro Studi Federico Stella: «È nellarea americana che assistiamo alla nascita del vero e proprio Law and Literature Movement. Con gli anni 80 del secolo scorso si ha quindi la definitiva consacrazione della riflessione giusletteraria: un solenne riconoscimento interdisciplinare che, fissandone i contenuti, viene a trascendere lambito puramente teorico per incardinarsi in esperienze vive di insegnamento e di dibattito e, in alcuni casi, di pratica giuridica. È soprattutto nellambiente accademico americano, specie allinterno delle Law Schools, che si ha un fiorire di studi volti ad arricchire il diritto attraverso il confronto con discipline extra-giuridiche come la letteratura, cui si fa riferimento sia quale fonte di narrazioni aneddotiche utili a stemperare certi formalismi legalistici, sia quale strumento linguistico ed ermeneutico per far emergere nuovi significati dai testi normativi. Nella prospettiva del Law in Literature, lo studio di opere letterarie che trattano temi legali assolve a una fondamentale funzione educativa, divenendo un importante strumento di umanizzazione e di crescita etica ed emotiva del giurista il quale, guardando alla letteratura, si ritiene possa meglio percepire e indagare la componente umana del diritto, spesso offuscata da un asettico formalismo e imprigionata in narrative ufficiali incapaci di dare voce (propriamente di rendere giustizia) ai soggetti deboli, agli outsiders sociali». Con semplicità e precisione spiegava ancora Gary Minda (in Teorie postmoderne del diritto, 1995): «Una delle principali premesse dottrinali di questo movimento è che lo studio della letteratura è utile per analizzare la natura etica del diritto: che il pensiero e la pratica letterari hanno cose da dire sui temi umani nel diritto. Unaltra premessa è che diritto e letteratura sono intimamente collegati, poiché entrambi dipendono dal linguaggio e da un modo di leggere, scrivere e parlare che comporta pratiche interpretative simili». Dalle pagine del nostro giornale, Vincenzo Vitale (3 agosto 2019), scriveva: «In realtà, diritto e letteratura si incontrano ad un crocevia fondamentale, quello stesso della verità... loggetto della letteratura e del diritto è il medesimo: la vita stessa. E non è poco, se si pensa che proprio della vita oggi i giuristi sembrano essersi fatalmente dimenticati. Basti leggere e meditare in proposito alcune massime della Cassazione da dove emerge con dolorosa chiarezza come la vita autentica degli esseri umani sembri distante anni luce... Ecco allora il compito della letteratura farsi ancora più chiaro: cercare di evitare questa mortale autoreferenzialità del diritto, riconducendolo, alla fine del suo tortuoso percorso, lì da dove era partito: ancora e sempre la vita degli esseri umani». Quanta ansia di giustizia possiamo ritrovare in Shakespeare, Balzac, Zola, Dickens, Kafka, nellOrestea di Eschilo, nellAntigone di Sofocle, nelle figure di Faust e Robinson Crusoe, in Sciascia, in Dürrenmatt! Perciò, regalate Il mercante di Venezia di Shakespeare o il Billy Budd di Melville, per Natale. Ma con questa avvertenza: dite loro che si tratta di un testo giuridico.