Il Dubbio ha preso in grande considerazione le dichiarazioni del magistrato Roberto Scarpinato in merito alle intercettazioni nelle quali, a un certo punto, si parla di “giocattolo rotto” riferendosi ad un summit dell’estate del 2000 indetto da Bernardo Provenzano. Il tema del contenuto era stato esposto in commissione Giustizia della Camera, nel corso dell’audizione sull’ergastolo ostativo.

Nelle intercettazioni non si parla di trattative

Ora abbiamo visionato le intercettazioni ed emerge con più chiarezza che non si parla di alcun patto o trattative con lo Stato, ma cambio di strategia, rompendo con le indicazioni di Riina o Bagarella dal carcere. Come spiega il gip nell’ordinanza relativa al procedimento penale n. 3779/2003 della Dda di Palermo, il contenuto dell’intercettazione si sintetizza così: metabolizzare le conseguenze delle “scelte sbagliate” del passato (quelle di Riina) e ricucire i vecchi strappi, per poter rimettere il “giocattolo in piedi” e realizzare gli obiettivi di sempre, ovvero appalti e potere mafioso. Parliamo di una intercettazione che fu eccezionale per l’alto valore probatorio. Tant’è vero che è servita anche per confermare le parole del pentito Antonino Giuffrè, uno dei boss principali di Cosa nostra che partecipò a diversi summit organizzati da Provenzano. In particolare proprio gli incontri dell’estate del 2000 dove erano state affrontate – come dice lui stesso - «appalti … nell’ambito dei discorsi di Cosa nostra, come andavano processi, 41 bis, cioè c’erano un pochino le problematiche che c’erano in questo periodo».Ma ora veniamo alla famosa intercettazione. Era il 2 agosto 2000 e Giuseppe Lipari parla con Salvatore Miceli Si tratta di una conversazione registrata il 2 agosto 2000 all’interno del residence Conturrana di San Vito Lo Capo. Giuseppe Lipari, che vi trascorre le ferie e conversa con Salvatore Miceli, all’epoca già condannato per il reato di partecipazione all’associazione mafiosa Cosa nostra con sentenza che diverrà poi definitiva. Il clima della conversazione è estremamente confidenziale e le circostanze riferite da Lipari sono lo specchio fedele dello “stato” dell’organizzazione di quel momento. A questo punto è utile riportare i passaggi fondamentali. Solo così diventa comprensibile la vicenda del “giocattolo rotto”. È Miceli che si rivolge a Lipari. La discussione è sul dopo Riina, ovvero la gestione da parte di Provenzano: «Comunque tutte cose cambiate sono!». Lipari risponde: «Sono cambiate ma, si sta cominciando». Ed ecco che il suo interlocutore, Miceli, usa la frase estrapolata dai giornali di allora: «Ogni tanto mi fa ridere … dice … si è rotto il giocattolo! È scappato questo … è marsalese, è combinato male pure … e allora ci siamo incontrati cose … Salvatò, si è rotto il giocattolo!».

"Signori miei rimettiamo questo giocattolo in piedi"

Lipari dice a Miceli se conosce il carattere di Provenzano, il suo modo di gestire e la situazione di stallo dopo tutti gli arresti dell’ala corleonese di Riina. Poi va dritto al punto, riferendosi al summit dove ha partecipato Provenzano, Giuffrè e altri boss: «Qua sono … perciò … e giustamente quello è restio per una cosa, per dire "signori miei, rimettiamo questo giocattolo in piedi - che succede - se io, dice, non ricevo dal carcere le indicazioni di farlo … perché … significa che io devo andare contro di loro!”». In sostanza, per indicazioni del carcere, Lipari si riferisce a Riina e Bagarella che hanno una gestione diversa, quella stragista. «Contro Totuccio (Riina, ndr) … contro Bagarella», sottolinea Lipari. E aggiunge: «Perché … le situazioni furono quelle che furono … a questo punto io gli dissi: "Senti Bino (Provenzano, ndr), qua non è che abbiamo più due anni …, non ti seccare Bino”, io me la prendo questa libertà perché ci conosciamo».

Si decise il cambio di strategia: basta con le stragi

Come spiegato nell’atto giudiziario dove viene riportata l’intercettazione, la discussione del famoso summit fu proprio il cambio di strategia. Quella della “sommersione”, in maniera tale di agire indisturbati senza destare allarme. Lipari, infatti, spiega al suo interlocutore: «Gli dissi: "figlio mio, né tutto si può proteggere, né tutto si può avallare, né tutto si può condividere di quello che è stato fatto! Perché del passato ci sono cose giuste fatte … e cose sbagliate … bisogna avere un po’ di pazienza!"». Ci vengono in aiuto le dichiarazioni di Giuffrè, corroborate appunto da questa intercettazione. Escusso dai magistrati, spiega che durante il famoso summit, si parlò della gestione degli appalti. «Il discorso appalti era stato affrontato – ha spiegato Giuffrè - e in tutta onestà diciamo che era abbastanza un discorso sempre di attualità e che noi per quanto riguarda il discorso della tangente riuscivamo sempre a controllare abbastanza bene. Ed anche in questo sempre su consiglio di Pino (Lipari, ndr), cercare di non fare rumore cioè alle imprese quando magari c’era qualche impresa di questa che era un pochino tosta, diciamo che non si metteva a posto, di non fare nemmeno rumore, cioè facendo fuoco, danneggiamenti… cioè di muoversi con le scarpe felpate, cercare di non fare, muoversi senza fare rumore».

Il tavolino a tre gambe per spartire i lavori

Giuffrè ha anche ricordato il ruolo di Lipari nel cosiddetto tavolino a tre gambe: mafia, politici e imprenditori: «Il Siino e il cosiddetto Tavolino. Il Siino perché? Perché è stato a tutte le gare di una certa entità, di una certa consistenza e come abbiamo detto sono state tolte dalle mani del Siino ed è passato questo potere al cosiddetto Tavolino, cioè dove troviamo quella persona dietro le quinte di cui ho parlato poco fa Pino Lipari, assieme ad altre persone, Salamone, l’ingegnere Bini e i fratelli di Bocca di Falco Nino e Salvatore (Buscemi ndr) che non mi ricordo il nome. E ripeto, dietro le quinte il discorso veniva pilotato da Pino Lipari. Questo tavolo aveva appositamente la funzione di spartire sin dall’inizio i lavori garantendo le tangenti una volta che la gara fosse stata espletata ed appaltato i lavori agli uomini politici da un lato, e alla zona, alla famiglia mafiosa dove ricadeva il lavoro». Ma quindi, perché Lipari ha consigliato di rimettere il giocattolo a posto, non commettendo atti di sangue come fece Riina? Lo spiega sempre Giuffrè. Provenzano, assieme ad altre persone particolarmente a lui vicine come appunto Lipari, comincia a portare avanti il processo di sommersione, cioè, – ha sottolineato sempre Giuffrè davanti agli inquirenti - «rendere Cosa nostra invisibile affinché ci si potesse con calma riorganizzare».

I nomi era già contenuti nel dossier mafia-appalti

Non si può non notare che il tavolino a tre gambe - basti pensare i nomi citati da Giuffrè che ancora nel 2000 erano “attivi” -, era stato già svelato nel ‘91, quando venne depositato , per volere di Giovanni Falcone, il dossier mafia-appalti redatto dagli allora ex Ros Mario Mori e Giuseppe De Donno. Altro che informativa “light”. Così leggera che, a distanza di anni, ritroviamo alcuni passaggi del dossier in diverse inchieste giudiziarie che si sono succedute nel tempo. Ricordiamo ancora una volta che Giuffrè è uno dei pentiti che ha fin da subito “svelato” la concausa delle stragi di Capaci e Via D’Amelio: mafia e appalti. Anche queste intercettazioni, evocate da Scarpinato, fanno capire quale sia sempre stato l’interesse primario della criminalità organizzata. Cosa, tra l’altro, che Falcone sottolineò durante un convegno organizzato il 15 marzo del 1991 presso Castel Utveggio, che si può trovare su Radio Radicale.