Nuovo colpo di scena in uno dei filoni processuali a carico dell’ex pm della procura di Roma, Luca Palamara che, insieme al magistrato Stefano Fava, rischia di finire a processo davanti al tribunale di Perugia. Ieri, infatti, in una delle ultime sedute dell’udienza preliminare, la procura di Perugia, coordinata dal procuratore capo Raffaele Cantone, ha escluso sia per Palamara sia per Fava, l’accusa di rivelazione del segreto d’ufficio, contestata a seguito della presunta fuga di notizia in favore di due giornalisti, rispettivamente del Fatto Quotidiano e de “La Verità”, circa un’indagine, con richiesta di misura cautelare, nei confronti dell’ex legale dell’Eni, Piero Amara. La notizia è stata riportata questa mattina da “Il Giornale”.

Il commento di Palamara

«Prendo atto con soddisfazione – ha commentato Luca Palamara - che da parte della procura di Perugia, con la modifica della imputazione, c'è stato un dimezzamento delle accuse a mio carico, segno evidente che dalla lettura delle carte non può che emergere la mia totale estraneità ai fatti che mi vengono contestati». Il legale dell’ex segretario dell’Anm, Benedetto Buratti ha dichiarato che «la procura in extremis ha modificato per sottrazione un'imputazione che rimane comunque infondata. A maggior ragione confidiamo che la vicenda si concluda con il proscioglimento il prossimo venerdì».

Le altre accuse

Palamara e Fava, tuttavia, devono rispondere anche di un’altra presunta rivelazione del segreto d’ufficio. In questo caso, la procura di Perugia ritiene che Fava avesse predisposto una misura cautelare per Piero Amara, attualmente in carcere, per autoriciclaggio e Giuseppe Pignatone, all’epoca capo della procura di Roma, non avrebbe apposto il visto. Inoltre, secondo i pm umbri, Fava «aveva recuperato documentazione che dimostrava come la società Napag era stata utilizzata per riciclare denaro che l'Eni aveva fatto pervenire ad Amara (25 milioni di euro)». La procura di Perugia, infine, contesta a Stefano Fava anche un presunto accesso abusivo a sistema informatico. Il suo obiettivo, secondo  i pm «era di avviare una campagna mediatica ai danni di Pignatone, per far avviare un procedimento disciplinare contro l'allora procuratore di Roma e per screditare l'aggiunto Paolo Ielo», con «l'ausilio» di Palamara, «a cui consegnava tutto l'incartamento indebitamente acquisito».