Gli arresti domiciliari eseguiti ieri a carico di Enrico Laghi, ex commissario straordinario dell’Ilva di Taranto, sono un altro tassello del “mosaico” che la Procura della Repubblica di Potenza va componendo da mesi, da quando cioè ha messo nel “mirino” l’ex Procuratore della Repubblica di Trani e poi di Taranto, Carlo Maria Capristo, in un’inchiesta per corruzione in atti giudiziari che apre scenari che vanno ben al di là della città dei due mari. L’ordinanza del gip di Potenza a carico di Laghi, eseguita da Polizia e Guardia di Finanza, stabilisce anche un sequestro preventivo per circa 270 mila euro ed è “un ulteriore sviluppo” delle indagini che, nel giugno scorso, portarono a misure cautelari nei confronti di Capristo stesso, degli avvocati Piero Amara – che ha una “parte” in trame e inchieste in corso in altre Procure italiane – e Giacomo Ragno, di Nicola Nicoletti, consulente dei commissari dell’ex Ilva, e del funzionario di Polizia Filippo Paradiso, che faceva da raccordo con gli altri indagati. Lo sviluppo investigativo è basato su indagini e su “plurime e convergenti dichiarazioni accusatorie” che la Procura di Potenza ha raccolto, “supportate da elementi investigativi di riscontro”. Alla base dell’inchiesta – e dell’azione della Procura di Potenza, in base alla legge – vi sono gli atti di Capristo, che ha lasciato la magistratura in anticipo, scegliendo il pensionamento. Era lui, secondo l’accusa, che “vendeva stabilmente ad Amara, Laghi e Nicoletti la propria funzione giudiziaria”, sia quando guidava gli uffici della Procura di Trani (“a favore del solo Amara”) sia quando raggiunse Taranto (“a favore di Amara, Laghi e Nicoletti”). In sostanza, si era creata una “rete”, un “giro” che Capristo dominava completamente: suo primo obiettivo era quello di mettere in moto, a suo favore, “una incessante attività di raccomandazione, persuasione, sollecitazione” su componenti del Consiglio Superiore della Magistratura “o su soggetti ritenuti in grado di influire su questi ultimi”, quando erano da assegnare posti direttivi vacanti. In cambio, Capristo “garantiva stabilmente” favori materiali e “utilità e vantaggi processuali” ai suoi presunti complici. Tutti dovevano rimanere contenti e soddisfatti: gli avvocati ottenevano incarichi – molto ben retribuiti – da aziende importanti dopo aver dimostrato ad esse la loro capacità di avere rapporti facili con il Procuratore della Repubblica: è il caso proprio di Amara, che diventò punto di riferimento dell’Eni, e di Giacomo Ragno, definito “alter ego di Capristo” con il quale aveva uno “stretto legame” fin da quando il magistrato guidava la Procura di Trani, destinatario di quattro mandati difensivi ottenuti dai dirigenti dell’acciaieria tarantina. Laghi – sulla cui azione oggi il Codacons ha detto di aver avuto “dubbi” fin dal 2017, in un esposto inviato all’Autorità Anticorruzione – dimostrava al Governo di essere un buon commissario per l’Ilva (obiettivamente, una matassa difficile da sbrogliare) e Nicoletti poteva fregiarsi del titolo di ottimo consulente. Su tutto ciò Capristo vigilava, indirizzava, interveniva: gli atti del suo ufficio – sempre secondo l’accusa – prendevano la direzione da lui voluta, in un disegno di “governo” della situazione Ilva in cui il Procuratore era la figura di maggior spicco anche agli occhi dell’opinione pubblica, quasi l’uomo solo in grado di affrontare quel problema e tenerlo sotto controllo. (ANSA).