Il vitto e sopravvitto nelle carceri è contemplato dall’articolo 9 della legge del 26 luglio 1975, n. 354. Ovvero nelle orme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà, in forza del quale ai detenuti «è assicurata un’alimentazione sana e sufficiente, adeguata all’età, al sesso, allo stato di salute, al lavoro, alla stagione, al clima» con garanzia, altresì, a coloro che ne fanno richiesta, ove possibile, di un’alimentazione rispettosa del credo religioso. La medesima norma (comma 7) consente l’acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto (sopravvitto), entro i limiti fissati dal regolamento; tale attività «deve essere affidata, di regola, a spacci gestiti direttamente dall’amministrazione carceraria o da imprese che esercitano la vendita a prezzi controllati dall’autorità comunale». La norma, impregiudicato l’obbligo dell’amministrazione di garantire alla popolazione carceraria un vitto sano e sufficiente, pone, a carico della stessa, la scelta, nella stessa attività di programmazione contrattuale, tra autoproduzione o esternalizzazione del servizio di sopravvitto, coerente con il generale canone di buon andamento dell’azione amministrativa previsto dall’art. 97 della Costituzione e tale da imporre un’idonea analisi del fabbisogno di inclusione o meno del sopravvitto nell’oggetto dell’affidamento al mercato, anche alla luce della pregressa esperienza amministrativa. Il problema degli appalti che garantiscono vitto e sopravvitto sono perenni. Basta evidenziare che sempre la Corte dei Conti della regione Lazio, a maggio del 2018, ha rilevato aspetti di criticità negli accordi quadro per tali forniture, legati non solo ai profili di sicurezza connessi all’espletamento dei servizi messi a gara rispetto ai principi di pubblicità e concorrenzialità nei pubblici appalti (stante il rischio di potenziali fenomeni di concentrazione dei soggetti titolari degli appalti), ma anche alla gestione con un’unica procedura, benché le due fattispecie presentino, sotto il profilo tanto giuridico quanto sostanziale, caratteristiche differenti; di qui, l’invito della Corte a valutare, nella prospettiva della predisposizione dei futuri bandi, «l’opzione di diversificare le procedure tra i due servizi oggetto dell’attuale accordo” soprattutto per quanto riguarda la fornitura di generi di sopravvitto, con “procedure di gara atte a garantire la partecipazione di un maggior numero di operatori economici, con evidente beneficio della qualità e della economicità del servizio». Problemi emersi nuovamente con la pronuncia odierna riguardanti il carcere di Rebibbia. Emergono, infatti, anche sotto tale aspetto, profili di irragionevolezza nelle scelte dell’amministrazione, con - scrive ancora oggi la Corte dei Conti - «il conseguente pregiudizio alla ricezione di offerte serie, adeguate e consapevoli e a un effettivo confronto concorrenziale su ciascuno dei due servizi da affidare».