Non sono mai mancati i problemi, con i braccialetti elettronici. Da quelli relativi al loro funzionamento alla loro disponibilità. Per più di un decennio, il braccialetto è vissuto nella marginalità, conseguenza di un disinteresse generale, protrattosi pur dopo che ne era stata prevista l’applicazione con un decreto legge del 2000. Nel 1998 il tema era oggetto di attenzione nell’ambito dell’Ufficio detenuti e trattamento del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia. La competenza di tale ufficio includeva, all’epoca, anche il settore delle misure alternative alla detenzione (poi ridefinito più correttamente dell’esecuzione penale esterna). Le sedi internazionali alle quali l’ufficio partecipava vedevano un interessante confronto tra esperienze di Stati europei diversi che presentavano, peraltro, un elemento in comune: il braccialetto elettronico era già applicato, oppure se ne stava considerando l’introduzione. Negli anni successivi, l’attenzione dell’amministrazione penitenziaria si focalizzava sull’approfondimento degli aspetti tecnici dei sistemi di monitoraggio elettronico già esistenti e presentati da ditte private, mentre proseguiva il confronto con le esperienze di altri Paesi. Bisogna contestualizzare il clima politico che si stava respirando. Non tanto diverso da quello odierno. Gli anni 1998-2001 si caratterizzarono per una fase di instabilità politica, con dimissioni dei governi in carica prima della fine della legislatura, giunta alla scadenza “naturale” nella prima metà del 2001. In quel periodo, il tema della sicurezza agitava il dibattito politico e la domanda di maggiore sicurezza si esprimeva, forte e a volte semplificata, sui media, risolvendosi in polemiche su un asserito buonismo di magistrati e amministrazione penitenziaria, ritenuto causa di un presunto lassismo nei confronti di chi delinque.

INTRODOTTO DAL 2001 NEL CODICE DI PROCEDURA PENALE

In tale contesto, venne introdotto nel codice di procedura penale, con il decreto legge n. 341 del 24-11-2000, convertito, con modificazioni, nella legge 19-1-2001, n. 4, l’art. 275-bis cpp. Prevedeva il braccialetto elettronico come strumento applicabile, con il loro consenso, ai soggetti indagati o imputati, dunque a coloro per i quali la restrizione della libertà personale – nella forma degli arresti domiciliari – fosse intervenuta come misura cautelare, e perciò prima della irrevocabilità della condanna. Dal 2001 al 2003 vi è una prima sperimentazione in 5 province. Dopodiché il servizio viene esteso a tutta l’Italia affidando la gestione di tutte le fasi alla Telecom Italia S.p.a. che per otto anni diviene di fatto il gestore esclusivo dell’intero delicato servizio.

FINO AL 2011 14 QUELLI ATTIVATI PER QUASI 6 MILIONI DI EURO CIASCUNO

Qui il disastro accertato dalla Corte Dei Conti. Da pagina 51 della relazione, si apprende che al 31 dicembre del 2011 i braccialetti elettronici attivati sono stati complessivamente 14. Il ministero ha speso 81,3 milioni di euro per 14 dispositivi utilizzati. In otto anni ogni braccialetto è costato quasi 6 milioni di euro. Una catastrofe. Nonostante il disastro denunciato in realtà ben prima della relazione della Corte, allo scadere della convenzione, viene rinnovata nuovamente con Telecom senza nessuna gara d’appalto: con trattativa diretta la Telecom S.p.a. si aggiudica un contratto che va dal 2012 fino al 2018 per una quantità di 2000 braccialetti. Altri anni di gestione dei preziosissimi bracciali ad un costo pressoché invariato.

NEL 2013 DI BRACCIALETTI ELETTRONICI NE RISULTAVANO ATTIVI 55

Nel frattempo il Tar del Lazio, su ricorso di Fastweb, ha dichiarato inefficace la convenzione, non essendo giustificata una trattativa diretta senza una gara pubblica, ma il Consigliodi Stato rimette la questione della sorte del contratto annullato alla Corte di Giustizia Europea e dunque la gestione dei bracciali è rimasta in mano a Telecom. Solo per rendere bene l’idea, nel 2013 i braccialetti attivi risultavano 55. Il costo per quell’anno è, come da contratto, di poco meno di 10 milioni di euro, da versare a Telecom. Ma poi, accade che con l’emergenza sovraffollamento la richiesta è aumentata anche grazie ai decreti deflattivi. A giugno del 2014, l’allora capo della polizia Alessandro Pansa ha inviato ai vertici del Dap un allarme: «Ad oggi - scriveva Pansa si è arrivati a circa 1.600 dispositivi attivi con una saturazione del plafond di 2.000 unità prevista entro il corrente mese di giugno». I braccialetti non sono più bastati, mentre la spesa contrattuale era alta.

NEL 2016 FASTWEB VINCE LA GARA PER 36/43.000 DISPOSITIVI IN 3 ANNI

Arriviamo nell’anno 2016. Il governo avvia bando di gara europeo che in agosto 2018 aggiudica a Fastweb la fornitura — da dicembre 2018 a dicembre 2021 per 7,7 milioni l’anno — di 1.000 (incrementabili sino a 1.200) braccialetti elettronici, dunque un totale di 23 milioni nel triennio per 36.000/43.000 dispositivi.Il Dubbio appura che l 15 maggio 2020, però, cioè dopo 16 mesi di contratto, la relazione tecnica del decreto legge «Cura Italia» ne conteggia 2.600, e non i 16.000 che a quell’epoca ci si aspetterebbe. A gennaio del 2021, l’allora viceministro Vito Crimi, grazie all’interpellanza di Roberto Giachetti, deputato di Italia viva, e scaturita da un articolo de Il Dubbio, comunica che al 31 dicembre 2020 i braccialetti in uso sono 4.215 e quelli usabili 5.940, quindi in totale 10.155; e che il commissario all’emergenza Covid, su richiesta del Dipartimento amministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia, il 10 aprile 2020 ha affidato a Fastweb «una fornitura di 1.600 braccialetti per le finalità dei decreti legge per far fronte alla pandemia». Risposta che però non ha convinto. Non ha spiegato perché i braccialetti, a gennaio scorso, siano stati 10.155 se, in base al contratto da 23 milioni con Fastweb per 1.000/1.200 al mese da fine 2018 a fine 2021, dopo 24 mesi sarebbero dovuti già essere almeno 24.000.

IL NUMERO DIPENDE DALLE RICHIESTE DEL VIMINALE

Ma la colpa non è di Fastweb. In realtà, il quantitativo dipende da quanto richiesto di volta in volta da Ministero dell’interno. In sostanza il numero di braccialetti in uso dipende non da una carenza di dispositivi ma esclusivamente dalle attivazioni e disattivazioni disposte dalle Autorità competenti. Non solo, la remunerazione della società è correlata alle attività effettivamente svolte. Qualcosa non sta funzionando da parte di chi deve fare richiesta dei dispositivi. Altrimenti non si capisce perché, come denunciato recentemente da Samuele Ciambriello, garante dei detenuti della Campania, in alcuni penitenziari ci sono reclusi che non usufruiscono dei domiciliari, perché manca la disponibilità dei braccialetti elettronici.