È boom di sottoscrizioni online per il referendum sulla cannabis promosso, tra gli altri da +Europa, Associazione Luca Coscioni, Meglio Legale, Possibile, Radicali Italiani: in sole 48 ore sono state superate le 250 mila firme. «Un risultato straordinario ma non sorprendente - commenta Marco Perduca, Presidente del Comitato Promotore - . La firma digitale ha finalmente dato un senso anche politico ai social». «Gli italiani stanno dimostrando di voler cogliere una preziosissima occasione di partecipazione, di dibattito e di riforma», ha proseguito il Presidente di +Europa, Riccardo Magi. Anche sul referendum eutanasia, un grosso aumento del numero di firme, oggi ad oltre 850 mila, è arrivato grazie alla possibilità di sottoscrivere online il referendum, tramite ad esempio lo Spid o la firma digitale. Tutto questo è stato possibile grazie all'approvazione di un emendamento dell'onorevole Magi, a cui si era opposto il Ministero della Giustizia: «Sottoscrivere un referendum - ci dice Magi - non può essere una corsa ad ostacoli. Non è quello che immaginavano i costituenti. Adesso tutti, anche se nella loro città il comitato promotore non è riuscito ad esempio ad organizzare un banchetto, potranno firmare». Insomma, una vera rivoluzione che adesso però potrebbe mettere in seria difficoltà chi fino ad ora ha gestito le campagne referendarie. Come è noto, il voto referendario rappresenta la seconda scheda grazie alla quale un elettore può imporre una decisione al Parlamento. Approvando quesiti abrogativi, l'elettore si trasforma in legislatore, ponendosi come limite al dominio della maggioranza politica parlamentare. Adesso con le firme online questo potere popolare aumenta di molto: si toglie dalle mani dei partiti e dei sindacati il controllo dell'agenda referendaria. Non serviranno più i loro grandi apparati territoriali, come sta avvenendo ora con la Lega in merito al referendum sulla giustizia promosso insieme al Partito Radicale, per assicurare la buona riuscita della raccolta. E si abbatteranno i costi degli autenticatori. Anche piccole e medie associazioni, con un minimo di investimento su social, potranno farsi promotrici di iniziative referendarie, senza il supporto partitico. Detteranno così l'agenda politica futura rispetto a temi che casomai i partiti non hanno mai voluto affrontare perché troppo divisivi o sconvenienti dal punto di vista elettorale. Ma il referendum li stanerà, se si arriverà al voto. A loro resterà solo la possibilità di far pressione sulla Corte Costituzionale. Si potrebbe pensare che qualcuno a breve si metterà in moto per cambiare le regole del gioco: ad esempio innalzando il numero di firme necessario per presentare il referendum. Ma chi sarebbe quel folle partito pronto a schierarsi contro la legittimità costituzionale dei cittadini di cambiare una normativa? Se di riforma vogliamo parlare, allora sarebbe il caso di modificare il tempo di intervento della Consulta, chiamata ora a vagliare l'ammissibilità dei quesiti dopo lo sforzo della raccolta firme. Sensato invece sarebbe il contrario: far precedere la campagna di sottoscrizioni dal vaglio dei giudici costituzionali sui quesiti per evitare un lavoro immane e casomai inutile del comitato promotore.