«In qualunque comunità in cui si viva insieme ci sono delle regole. Nel nostro Paese, come in tutte le nazioni, queste regole sono le leggi. La violazione di queste regole crea una rottura di questo patto sociale di osservare le regole per vivere insieme e la comunità reagisce in maniera graduata, a seconda della gravità della violazione». Così il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in visita allIstituto penale per i minorenni di Nisida, piccola isola nel golfo di Napoli, risponde alle domande di alcuni giovani detenuti. «È vero che la detenzione rimane come traccia nel casellario giudiziale, ma questo non va sopravvalutato. E non può diventare in alcun caso una sorta di marchio», prosegue Mattarella. «La detenzione è una cicatrice che nel corso del tempo scompare e non va considerata più, perché non è la caratteristica della persona. Per questo è importante, al di là della permanenza nel casellario giudiziale della traccia della detenzione, che questa non sia in alcun caso motivo di emarginazione, di accantonamento, di preclusione», ribadisce il Capo dello Stato. «Tante persone con esperienze di detenzione sono pienamente inserite, con successo, nella vita», assicura Mattarella. «Il dovere dello Stato, e io sono qui per riaffermarlo, è che questo non si tramuti in alcun caso in una sorta di macchia indelebile», prosegue. «La prospettiva di un protagonismo sociale va garantita. E non a parole. Ma nei comportamenti dellordinamento con i suoi interventi, con le sue regole, procedure e iniziative, con il comportamento sociale delle altre persone. E con la speranza e la fiducia». Dopo aver visitato alcuni laboratori dellIstituto, accompagnato dal Ministro della giustizia, dal Capo Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità e dal Direttore dellIstituto, il Capo dello Stato ha incontrato i ragazzi e le ragazze ristretti e ha risposto ad alcune loro domande elaborate nel corso del Laboratorio della politica. Una visita di circa due ore, divisa in due momenti, legati dalle storie di giovani e donne protagonisti di un percorso di recupero e reinserimento sociale. Mattarella e Cartabia, seduti nelle prime file del Tempio Duomo del Rione Terra, hanno ascoltato le testimonianze di due giovani che hanno trascorso una fase della loro vita a Nisida e che, grazie al lavoro delle istituzioni civili e religiose, hanno ottenuto una seconda possibilità e lopportunità di una vita nuova. Tra questi cè Luigi Cappella, 25 anni, nato a Scampia, con una situazione familiare che lui stesso definisce complicata. «Grazie al periodo vissuto nella Cittadella dellinclusione - spiega - ho potuto dare sfogo alla mia voglia di riscatto e, con i soldi della borsa di studio, ho preso la patente e il diploma allistituto Alberghiero. Oggi vivo con la mia compagna, passata anche lei dalla Cittadella, lavoro come cuoco in un ristorante e il mio sogno è quello di poter insegnare come istruttore pratico in un istituto Alberghiero. La mia storia è lesempio di come, con la tenacia e con una mano tesa, si possa capovolgere il finale e ottenere un lieto fine». «Sono onoratissima di accogliere a Nisida il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che desidero ringraziare per la sensibilità e lattenzione, che, ancora una volta, dimostra verso il mondo del carcere. Lo ringrazio, soprattutto, per aver scelto di visitare un istituto penale per minorenni e di incontrare personalmente qui i più giovani, che sono il futuro del nostro Paese», ha detto la guardasigilli. «Presidente, la sua presenza oggi qui è per i nostri ragazzi come una mano tesa che infonde fiducia. Una mano tesa è ciò che rassicura quando bisogna fare un passo verso un percorso ignoto. Una mano tesa è il punto di appoggio che aiuta a trovare il proprio equilibrio di fronte alle vertigini della vita. Una mano tesa è un gesto che dice: mi interessi, mi sono accorto che sei in difficoltà, ho a cuore proprio te. Di questo dono - ha sottolineato Cartabia - La ringrazio, ancora, a nome dellintera amministrazione penitenziaria e del ministero della Giustizia». «Non sempre è facile da un istituto di pena, credere in un oltre. Ma qui si deve e si può. Si deve, perché credo fermamente che un dovere imperativo delle istituzioni penitenziarie sia infondere e diffondere speranza a tutte le persone detenute. Specie nei più giovani. La speranza di ciascuno di voi è speranza per lintera società», ha sottolineato la ministra. «Si può - ha aggiunto Cartabia - perché questo è un istituto di detenzione speciale, dove lorizzonte non è interrotto dalle sbarre alle finestre, ma si proietta in tutta la sua ampiezza verso spazi sconfinati».