Ogni estate è buona per dedicarsi ad un nuovo giallo o ripescarne uno dal passato. Tra questi ultimi c’è sicuramente la strage di Erba. Non è questo lo spazio per rifare un processo ma sicuramente quello per porsi delle domande, per sollevare dei dubbi. Una fredda sera dell’11 dicembre 2006, verso le 20:30, a Erba (provincia di Como) nella corte di via Diaz 25, vengono uccisi a colpi di coltello e di spranga Raffaella Castagna, il figlio Youssef, la nonna del bambino Paola Galli, e la vicina di casa Valeria Cherubini, mentre scampa alla morte il marito di quest’ultima, il superteste Mario Frigerio, che rimane gravemente ferito. Alla strage seguì un fuoco appiccato nell’abitazione. Il compagno di Raffaella Castagna, Azouz Marzouk, fu il primo sospettato Il primo sospettato fu il compagno di Raffaella, Azouz Marzouk, ma aveva un solidissimo alibi: si trovava in Tunisia e così venne scagionato. L'attenzione si spostò poi sui coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, due vicini di casa di Raffaella Castagna che in passato avevano avuto contenziosi legali con la defunta. I due furono condannati in primo grado dalla Corte d’assise di Como e in secondo grado dalla Corte d’assise d’appello di Milano a due ergastoli, con conseguente isolamento diurno per tre anni, per i reati di pluriomicidio aggravato, incendio (art. 423 c.p.), violazione di domicilio e reato di porto d’arma fuori dall’abitazione, nonché per omicidio e tentato omicidio per i fatti che poi diverranno noti alla cronaca, appunto, come “strage di Erba”. La Corte di Cassazione il 3 maggio 2011 confermerà la doppia conforme di condanna per Olindo e Rosa. E il tentativo di nuovi analisi sui reperti è stato respinto lo scorso dicembre. Persino Azouz Marzouk li ritiene estranei ai fatti, benché in un primo momento i due confessarono, per poi fare un passo indietro. Sulla loro colpevolezza ci sono molti dubbi, soprattutto relativamente a tre elementi, centrali per giungere alla loro colpevolezza: la testimonianza dell'unico testimone della tragedia, Mario Frigerio - colpito con un fendente alla gola e creduto morto dagli assalitori, ma che riuscì a salvarsi grazie ad una malformazione congenita alla carotide che gli impedì di morire dissanguato - e la traccia di sangue trovata nella loro auto, la confessione appunto. La testimonianza di Mario Frigerio, l'unico superstite Sul primo punto vi riproponiamo un estratto della consulenza effettuata nel 2010, su richiesta degli avvocati Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Fabio Schembri, difensori dei coniugi Romano al professor Piergiorgio Strata, neuroscienziato di fama internazionale e accademico italiano. A lui, in qualità di studioso nel campo della memoria, fu chiesto un parere sulla testimonianza fornita da Frigerio: è affidabile il ricordo di una persona che ha fornito una prima versione dei fatti, versione che si è andata poi progressivamente modificando nel tempo durante gli ulteriori interrogatori avvenuti sia nei giorni immediatamente successivi sia a distanza durante il dibattimento? Per la Corte di Assise «a sostegno della presunta “assoluta attendibilità del teste” si dice che "le sue dichiarazioni hanno progredito nel tempo a più riprese senza mai mostrare incongruenze logiche interne e senza mai mostrare contraddizioni tra una versione e l’altra». Per il professor Strata non è così. Come leggiamo nella sua relazione «nel primo interrogatorio del 15 dicembre da parte del Pm Dott. Pizzotti, secondo la relazione del perito sull’esame tecnico ricavato dalle registrazioni originali dell’interrogatorio, il teste Frigerio risponde con precisione e lucidità alle varie domande e poi descrive il suo aggressore di carnagione scura (poi precisa olivastra) capelli corti, tanti capelli corti, grosso di stazza, capelli neri. Inoltre, su precisa domanda risponde di non aver mai visto prima quella persona. Fra l’altro tra il 15 ed il 20 dicembre 2006 il Sig. Frigerio dirà al figlio Andrea di poter riconoscere lo sconosciuto aggressore tramite identikit o fotografia segnaletica. Trattandosi di fatti raccontati a pochi giorni dagli eventi questa memoria va considerata la più genuina e affidabile». Il teste «non aveva il minimo dubbio che l’aggressore fosse persona a lui sconosciuta. Partendo dal presupposto che il teste non abbia mentito il contenuto di questa testimonianza va considerata come altamente affidabile». Tra un interrogatorio e l'altro la testimonianza di Frigerio è contraddittoria Tutto cambia con un altro interrogatorio reso al Luogotenete Gallorini. «All’inizio dell’interrogatorio l’interrogante chiede: “Lei conosce Olindo il suo vicino di casa? Che abita nella palazzina li vicino?”. Frigerio “Sì lo conosco di vista”. Interrogante “Cioè non... l’ha… cioè… lo sa come è fatto? Cioè … lo saprebbe riconoscere insomma?”. Interrogante “Voglio dire se avesse visto Olindo lo avrebbe riconosciuto”. Frigerio “Non posso essere”. Interrogante “... sto dicendo”. Frigerio “No...” Interrogante “Diciamo per assurdo però lo dobbiamo fare (inc.) Se Lei avesse avuto di fronte l’Olindo… avrebbe saputo che era Olindo…”. Frigerio “Penso di sì”. Interrogante “Pensa di sì, ma non è sicuro … Di questa figura nera di fronte, di cui lei ha parlato nella precedenti occasioni”. Frigerio (inc.) Interrogante “non è in grado di escludere che sia alcuno che potrebbe essere uno conosciuto da lei e che non abbia riconosciuto?”. Frigerio (questo sì). Interrogante “Quindi Lei la persona l’ha guardata?”. Frigerio “Sì”. Interrogante “… però potrebbe non averla riconosciuta”. Frigerio “… caratteristiche”. Interrogante “Le caratteristiche ma non in modo preciso“». Per il professor Strata «questo pressante esercizio di immaginazione avvenuto nell’interrogatorio da parte del Luogotenente Gallorini sulla figura di Olindo ed il ripetuto tentativo di insinuare un dubbio costituisce la più potente arma per falsificare il ricordo. Il valore della testimonianza del Sig. Frigerio, il quale ha sicuramente sempre agito in buona fede, richiede di essere valutata con molta cautela. Dall’esame del materiale in mio possesso non risulta che il teste Frigerio abbia fatto dichiarazioni “senza mai mostrare contraddizioni fra una versione e l’altra”. La seconda versione deve ritenersi sicuramente influenzata dall’invito a meditare sulla possibilità che l’aggressore fosse il Sig. Olindo Romano. La seconda versione, quindi, non può avere un peso determinante agli effetti di un’eventuale condanna, mentre la prima versione va considerata altamente affidabile». Dubbi sulla traccia di sangue nell'auto di Olindo Venendo, invece, alla traccia di sangue presente nell’auto di Olindo e attribuita a Valeria Cherubini, una delle vittime, essa ha rappresentato uno dei pilastri della Pubblica accusa. Infatti, la Procura ha sostenuto (con successo) che quella traccia ematica è stata trasportata nell’auto dei Romano da Olindo, dopo aver calpestato il sangue delle vittime per le aggressioni mortali da lui stesso provocate. Per il biologo forense Eugenio D'Orio, incaricato di condurre le indagini biologiche e genetiche per conto di Azouz Marzouk, ovvero della parte offesa, «la “traccia di sangue” non esiste! Quella traccia biologica, che appartiene alla vittima Cherubini, è certamente non di provenienza ematica. Una cosa è dire che c’è sangue della vicina di casa barbaramente uccisa nell’auto di Olindo, altra cosa, diametralmente opposta, è dire che c’è Dna della tua vicina di casa nell’auto, ma che questa traccia è, con certezza, non-sangue. Il che esclude, a priori, che questa sia una “prova del delitto”». Molti casi giudiziari confermano che anche gli innocenti confessano In ultimo sulla confessione: anche gli innocenti confessano. Un esempio su tutti: Giuseppe Gulotta nel febbraio del 2012, all'esito di una sentenza di assoluzione, dopo trentasei anni di calvario giudiziario e ventidue anni di carcere, viene assolto per non aver commesso il fatto. Era accusato dell’omicidio di due carabinieri ad Alcamo Marina, in provincia di Trapani. Fu picchiato e costretto a confessare. E ancora, come riportato nel libro “I grandi delitti dalla ’A’ alla ’Z”' di Gennaro Francione ed Eugenio D'Orio, negli Usa «nel 25% dei casi in cui una persona è stata scagionata grazie all’esame del Dna, l’imputazione era avvenuta tramite una falsa confessione». Per quanto riguarda Olindo e Rosa, come disse uno dei legali, Nico D' Ascola, « è vero che i Romano confessano la loro responsabilità, ma lo fanno sulla base di una ricostruzione dei fatti nella quale l'avvocato Schembri è stato capace di individuare ben 384 contraddizioni rispetto alla realtà dei fatti che risulta da prove oggettive e accertate». Per chi fosse interessato, segnaliamo una approfondita inchiesta de Le Iene, a cura di Antonino Monteleone.