Non il superamento, ma almeno il ridimensionamento. Questa è stata l’ambizione della mancata Riforma Orlando. Parliamo della figura dell’ internato, colui che ha finito di scontare la pena detentiva, ma raggiunto da una misura di sicurezza, perché ritenuto “socialmente pericoloso”.

Ed è la misura di sicurezza, il doppio binario, che i legislatori avrebbero voluto, o potuto, cambiare. Si tratta di misure che interessano l’autore di reato socialmente pericoloso e che, secondo un assetto che risale al codice fascista Rocco, si aggiungono alla pena (per gli imputabili e i semi- imputabili), ovvero rappresentano l’unica misura applicabile (per i non imputabili): la libertà vigilata e l’espulsione dello straniero (tra quelle non detentive); la casa di lavoro, la colonia agricola, le comunità per i minori (già riformatorio giudiziario) e il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario o in una casa di cura e di custodia  tra quelle detentive): le ultime due già oggetto di un ampio intervento di riforma, negli anni scorsi, che ha portato alla chiusura degli Opg e all’introduzione delle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza ( Rems).

La legge delega del 2017, distingueva le posizioni dei soggetti imputabili, semi- imputabili e non imputabili. Per i soggetti imputabili, la legge prevedeva che il regime del doppio binario fosse limitato ai soli gravi. Naturalmente si tratterebbe di una misura detentiva del tutto diversa da quella attuale, ad alto contenuto trattamentale, declinabile in ambito lavorativo e/ o agricolo o in strutture per la semilibertà, da considerarsi quale extrema ratio e solo per periodi di tempo limitati. Mentre per i soggetti semi- imputabili si prevedeva l’abolizione del sistema del doppio binario e l’introduzione di un trattamento sanzionatorio mediante il ricorso a trattamenti terapeutici o riabilitativi e l’accesso a misure alternative , sempre compatibilmente con le esigenze di tutela della sicurezza pubblica.

Per i soggetti non imputabili, infine, la legge prospettava misure terapeutiche e di controllo ispirate all’esigenza primaria della cura, all’interno di strutture fuori dal circuito carcerario. Il passo “problematico” della legge delega, fortunatamente non andato in porto, era di destinare alle Rems non solo gli autori non imputabili e socialmente pericolosi, ma anche «tutti coloro per i quali occorra accertare le relative condizioni psichiche, qualora le sezioni degli istituti penitenziari alle quali sono destinati non siano idonee, di fatto, a garantire i trattamenti terapeutico- riabilitativi, con riferimento alle peculiari esigenze di trattamento dei soggetti e nel pieno rispetto dell’articolo 32 della Costituzione».

In quel caso avrebbe snaturato la natura delle Rems. In realtà, i tavoli degli stati generali per l’esecuzione penale del 2015 ai quali si è ispirata la tentata riforma, hanno elaborato proposte di più ampio respiro. Ad esempio la riformulazione della libertà vigilata, eliminando tutte le prescrizioni concretamente ostative al reinserimento sociale (ad esempio : sospensione o ritiro della patente di guida) con la previsione, in caso di aggravamento (solo per casi eccezionali e regolamentati) di prescrizioni più limitative fino a prevedere una ipotesi di affidamento lavorativo, di vera e propria permanenza controllata in abitazione o in luoghi ad essa equiparati, o, per le violazioni più gravi e reiterate, la trasformazione in misura di sicurezza detentiva per periodi limitati, da scontare in apposite sezioni ad alto contenuto trattamentale, dislocate su tutto il territorio nazionale.