Monsignor Paglia, il comitato promotore del referendum sull'eutanasia ha annunciato il raggiungimento delle 750mila firme, qual è la reazione della Chiesa di fronte a queste cifre?

La Chiesa prende atto che nella società italiana esiste una forte tendenza a declinare la libertà individuale anche nel senso di decidere della propria morte. È già accaduto in altri paesi europei, ora è il momento dell’Italia. La Chiesa da parte sua è e resterà sempre contraria all’eutanasia intesa come “dare la morte” ad un altro, aldilà delle motivazioni. E non è certo il numero che può decidere di un tema così complesso come quello del “fine vita”.

Questo non vuol dire che la Chiesa non sia attenta alle problematiche che questo tema richiama: il dolore terribile sia del corpo che dell’animo. Di qui il grande impegno che io stesso – con la Pontificia accademia per la vita – ho messo per la promozione delle cure palliative. E soprattutto non dimentichiamo l’abbandono in cui versano di fatto le migliaia di malati gravissimi a cui nessuno pensa e che vorrebbero essere aiutati a vivere.

Il referendum chiede l’abolizione di una parte dell’articolo 579 del codice penale, relativo all’omicidio del consenziente maggiorenne e capace di intendere e volere. Perché siete contrari?

Vorrei chiarire che non solo la Chiesa è contraria a questa proposta referendaria. Ci sono anche non credenti che ritengono sbagliata questa prospettiva. Eviterei perciò di contrapporre Chiesa e laici attorno a questo referendum. È una questione squisitamente umanistica. C’è chi ha parlato di “ira” del Vaticano. In realtà, la Chiesa vuole semplicemente difendere una convinzione che riguarda valori fondamentali per la convivenza umana: la tutela della dignità della persona, soprattutto nel momento estremo della fragilità.

La Chiesa, come ogni umanesimo da Ippocrate in poi, continua a non accettare che si “tolga la vita” a qualcuno ( questo è l’eutanasia). Questo non significa insistere ad oltranza nei trattamenti medici: è doveroso valutare quando vanno evitati o sospesi, lasciando che la morte accada. Insomma no all’eutanasia, no all’accanimento terapeutico, si all’accompagnamento: già oggi in Italia è possibile morire senza essere torturati dal dolore: la lotta al dolore è decisiva, soprattutto in questo tempo in cui la tecnica provoca nuove condizioni.

C’è poi un iter parlamentare già avviato per le modifiche all’articolo 580, quello sull’aiuto al suicidio, sulla scia delle indicazioni date dalla Corte costituzionale. Qual è il suo parere?

Il referendum va ben oltre i confini fissati dalla Corte perché liberalizza ogni forma di omicidio del consenziente, anche se determinato, ad esempio, da una depressione, da una delusione, da una momentanea fragilità psichica. C’è chi ricorda che poche settimane orsono un giornalista scriveva su un quotidiano nazionale: «Non capisco perché per salvare settuagenari, in genere affetti da due o tre gravi patologie, sia bloccata la vita di intere generazioni a cui il Covid non poteva fare nulla. Che muoia chi deve morire e smettiamola con questa tragica farsa». Sono parole che debbono far riflettere. La Corte Costituzionale, con la sentenza 242 del 2019, ha invitato il Parlamento a legiferare, indicando anche alcuni criteri. Mi auguro che il dibattito sia ampio e adeguato al fine di redigere una legge che tenga conto della complessità e della delicatezza del tema.

Mina Welby ha spiegato che il Comitato promotore è a favore della vita, ma di una vita che sia degna di essere vissuta fino alla fine. Cosa risponde a chi ha affrontato in prima persona le vicende legate all’eutanasia?

Ho ricevuto proprio in questi giorni uno studio di 15 esperti, fra cui diversi medici, che hanno riflettuto in particolare sulla esperienza belga. Sarebbe utile leggerla. Prendo solo due tra le molte suggestioni. Là dove si è informato il paziente che ci sono le cure palliative e che sono attivate davvero, la richiesta di eutanasia cala drasticamente. Anche perché bisogna discernere: dietro la domanda di eutanasia vi è la richiesta della morte o quella di non soffrire e di non rimanere soli? La seconda riguarda gli effetti sociali della legge che consente l’eutanasia. I dati ufficiali dicono che aumentano le morti eseguite senza una esplicita richiesta, per es. di malati mentali o di disabili. Gli effetti complessivi fanno allora vedere che in nome di una maggiore libertà di qualcuno si comprime e si contraddice la libertà di molti per lo più i più fragili e i più esposti.