Il deputato di Azione, Enrico Costa, lo chiama “marketing giudiziario”, ovvero la prassi ormai consolidata dalle varie procure italiane, specie quelle che si occupano di indagini antimafia, di applicare alle inchieste un nome convenzionale. L’ex viceministro della Giustizia, in un intervento affidato al “Foglio”, parla dal “marketing giudiziario” per affrontare il caso di Marco Sorbara, di cui si è occupato ampiamente il Dubbio.

Sorbara e il "marketing giudiziario"

«Geenna è il nome di un'inchiesta li che scosse la Valle d'Aosta nel 2019. Come osservava la Stampa, "L'operazione "Geenna" prende il nome dalla Bibbia e significa luogo di eterna dannazione: deriva da una valle alle porte di Gerusalemme che fu segnata di anatema dal re Giosia per essere divenuta sede del culto di Moloch, che imponeva la pratica di bruciare in olocausto i bimbi dopo averli sgozzati, diventando scarico dei rifiuti della città e luogo dove gettare le carogne delle bestie e i cadaveri insepolti dei delinquenti". Appare evidente il parallelismo studiato con la morfologia della regione oggetto delle indagini. Marco Sorbara è il nome di un ex consigliere regionale della Valle d'Aosta, arrestato nell'inchiesta "Geenna", che ha trascorso oltre 900 giorni in custodia cautelare prima di essere assolto in Appello perché il fatto non sussiste. Non credo che per Sorbara sarà semplice scrollarsi di dosso quell'abbinamento».

Il ruolo della stampa

L’affondo di Enrico Costa si sposta poi sulla stampa che amplifica il cosiddetto “marketing giudiziario”. «Chiunque si trovi sulla traiettoria del marketing giudiziario, perché di questo si tratta, è bollato per sempre. Perché il nome dell'inchiesta, sapientemente impastato con la conferenza stampa, con i trailer, con le intercettazioni, con i titoli di giornali, con il frullatore della rete, non lascia scampo. E sopravvive agli eventi processuali. Le sentenze? Buone per il casellario, non certo per ribaltare fiumi di inchiostro. Un marketing non solo tollerato, non solo a opera di pochi, ma sistematico. Molte inchieste vengono rappresentate come fossero dei film. C'è un titolo, un trailer, una conferenza stampa nella quale si proiettano gli arresti, le perquisizioni, i pedinamenti, le intercettazioni anche vocali». «Infine, c'è il botteghino di questo capolavoro che è la rete. Eppure si tratta un film in cui parla solo la campana dell'accusa, la difesa non viene citata nemmeno nei titoli di coda. Ma va sottolineato anche che buona parte dei pm lavora silenziosamente, e soffre la spettacolarizzazione che fanno pochi, ma rumorosi colleghi (che poi magari si buttano in politica)».

I nomi più famosi delle inchieste giudiziarie

Ed ecco che passa in rassegna i nomi di alcune operazioni venute alla luce dell’opinione pubblica negli ultimi anni. «Le cronache ci danno un riscontro quotidiano della fantasia a senso unico nel battezzare i fascicoli. Dall'operazione Waterloo a quella Petrolmafie, piuttosto che Evasione continua, Metastasi, Farmabusiness, Crimine, Pelli Sporche, Appaltopoli, Università Bandita, Sotto Scacco, Conte Ugolino, Sistemi criminali, Ecoboss, Falsa politica sono inchieste che finiscono con condanne, ma talvolta anche assoluzioni o proscioglimenti prima del processo. E uno stato di diritto deve pensare a chi, innocente, finisce in questo ingranaggio. Il marketing giudiziario è quanto di più pericoloso, incivile, illiberale, arbitrario».

«La vera sentenza non interessa a nessuno»

Per concludere, arriva anche una critica ai giornalisti che si occupano di giudiziaria. «Con quale spirito critico molti giornalisti seguono le indagini e assorbono le informazioni trasmesse dagli inquirenti? L'interesse immediato non è quello di approfondire, ma di pubblicare al più presto. Nome dell'inchiesta prima di tutto. E a seguire l'impostazione accusatoria, visto che in quella fase la difesa ancora non è pervenuta. Sarebbe questa la massima espressione del diritto di cronaca dovere di informare? Recepire e basta? Scordarsi che dopo le inchieste ci sono i processi? Spegnere il rubinetto delle notizie quando finalmente si apre il dibattimento? La vera sentenza per molti giornalisti è la conferenza stampa della Procura, perché la sentenza vera, quella pronunciata dopo il processo, non interessa più a nessuno». Tranne per il Dubbio