Per Giorgio Spangher, professore emerito di Diritto processuale penale alla Sapienza di Roma, le questioni di diritto sono state sacrificate in nome del compromesso politico per portare a casa la riforma della giustizia targata più Draghi che Cartabia. Cosa pensa di questo accordo? Faccio innanzitutto notare che mentre il Csm era riunito in plenum per esprimere un parere richiesto dalla Ministra Cartabia, a Palazzo Chigi già stavano riscrivendo il testo della riforma. Poi ho letto nel comunicato sul Cdm: «Rispetto al testo approvato due volte all’unanimità dal governo si introducono alcune novità». «Approvato» mi pare una sottolineatura ironica visto quello che poi è successo nei giorni successivi e il faticoso lavoro di mediazione che si è dovuto fare. Tornando alla sua domanda è chiaro che siamo dinanzi ad un compromesso. La Ministra avrebbe potuto fare molto meglio ma lei ha ridimensionato l'unica proposta culturalmente valida che era quella della Commissione Lattanzi. Da quel momento tutto si è complicato ed è iniziata la battaglia politica sull'improcedibilità. Nel frattempo sono emerse tutte le criticità culturali e scientifiche degli effetti dell'improcedibilità, che vedremo - ad essere ottimisti - alla fine del 2024. Tutto questo però è stato ignorato perché si è pensato a giocare solo con le bandierine che i partiti hanno messo sui vari reati affinché sfuggissero alla tagliola della prescrizione processuale. Infine sul risultato finale ha pesato il fatto che la partita si è spostata da via Arenula a Palazzo Chigi. Qualcuno dice che siamo vittime della solita fallacia realista, in base alla quale qualsiasi compromesso si raggiunga va sempre bene. Non siamo stanchi di questo? Assolutamente sì. Che il compromesso sia al ribasso lo si evince chiaramente dal fatto che ogni partito può rivendicare un pezzo di vittoria. Attenzione: sono spariti dal doppio binario inizialmente richiesto dal M5s i reati con la PA. All'inizio della trattativa sembrava invece essere il punto di snodo. Come vede è stato tutto un compromesso. Ma voglio aggiungere una cosa: ora abbiamo una serie di fasce per la celebrazione dei processi prima che scatti l'improcedibilità a seconda dell'imputazione che darà il pm. Ma oltre a questi doppi, tripli binari rimane in piedi tutto il problema dogmatico degli effetti del nuovo istituto: l'improcedibilità non decide, e cosa significa davvero lo scopriremo solo con la prima sentenza. Non dobbiamo scordarci che stiamo parlando del Diritto e dei suoi effetti sugli imputati e le persone offese. Ieri è stata depositata una sentenza della Consulta per cui se scatta la prescrizione in appello il giudice stesso può decidere sugli effetti civili. Con la nuova riforma si passa la palla al giudice civile. Ma sembra che tutte queste questioni giuridiche, messe in evidenze anche dal Csm, dall'Anm e dall'Accademia, non siano di interesse. L'Europa ci chiede una giustizia più snella e veloce. A leggere la bozza dell'accordo invece sembra tutto più complicato. Pensiamo di aver risolto il problema con la trattativa a Palazzo Chigi ma non è così, perché poi dovremo dar conto anche all'Europa degli effetti della riforma. Gli anni dell'appello dovevano essere 2 e poi in alcuni casi sono diventati 3, in altri 5 e poi 6. E in altri casi ancora abbiamo il fine processo mai. Il nostro sistema prevede già diversi binari, un vero groviglio dal punto di vista procedurale. Ora questa riforma contempla che il giudice possa richiedere proroghe motivate in base alla complessità concreta del processo. Innanzitutto vorrei capire qual è la definizione di “complessità”. Io capisco che i processi non sono tutti uguali ma lasciare discrezionalità al giudice fa sorgere problemi sulle garanzie. Già abbiamo un eccesso di proroghe nella fase delle indagini preliminari, pensi se un giudice deve decidere per il proprio processo. Farà di tutto per cercare una motivazione. Insomma, non credo onestamente che questo sia il modo giusto per raggiungere l'ambizioso obiettivo di ridurre del 25% la durata dei giudizi penali, come richiesto dall'Europa.