Cinzia Barillà, giudice di Corte d'appello a Reggio Calabria, è la nuova presidente di Magistratura democratica, prima donna nella storia del gruppo associativo a ricoprire questo ruolo. È stata eletta lo scorso sabato, insieme al segretario Stefano Musolino. Proprio ieri Md ha reso noto un documento dal titolo “Processo penale: cambiare sì. Ma come?” che evidenzia alcune criticità relativamente all’ improcedibilità, ai criteri di priorità e al nuovo volto della pena, così come previsti nel restyling Cartabia della riforma elaborata dalla commissione Lattanzi.

Che idea si è fatta del dibattito sulla riforma della giustizia penale?

Per una analisi sistematica rinvio al documento “Cambiare sì, ma come?”, da chiunque consultabile sul sito di Md. Spiace vedere tradita, all’esito della mediazione politica, la vocazione limpida e coerente delle proposte della commissione Lattanzi, marcatamente deflattive e costruttive, per la prima volta, di una penalità meno invasiva. Si è mancata, poi, l’occasione per indirizzare l’azione politica verso altri territori. Penso a una depenalizzazione incisiva, con lo sguardo aperto al dibattito sui fatti di lieve entità, sulle droghe leggere o sulle coltivazioni “domestiche”; e alla riforma dell’articolo 79 della Costituzione, per ridare praticabilità costituzionale ad amnistia e indulto, resi impossibili dalle maggioranze di due terzi dei componenti di ciascuna Camera.

Passiamo ai nodi da sciogliere, il primo dei quali concerne l’improcedibilità. Lei è giudice d’appello a Reggio Calabria. Secondo le stime fornite dal ministero, per il secondo grado, in 19 distretti su 29, la durata media dei procedimenti è già inferiore ai 2 anni. Sette distretti registrano tempi superiori alla media, inclusa Reggio Calabria. Col nuovo istituto dell’improcedibilità e l’immissione di nuove risorse il problema sarebbe scongiurato? O lei condivide gli allarmi lanciati da Gratteri, de Raho e Di Matteo, ad esempio?

Preferiamo il metodo del ragionamento, senza imporre le nostre visioni a suon di prospettate catastrofi per la democrazia. Questo non ci fa arretrare dalla critica a un istituto che rischia di produrre più problemi di quelli che intende risolvere. L’improcedibilità in un colpo solo sacrifica i diritti delle persone offese e diminuisce le garanzie degli imputati. Raramente vi è stata una convergenza così unanime di opinioni sulla scelta di un rimedio, l’estinzione del processo e non del reato, ancora punibile perché vicino nel tempo, peggiore del male da curare, vale a dire i tempi inaccettabilmente lunghi del processo. Con prevedibile aumento, inoltre, delle impugnazioni dilatorie. Ci preoccupa poi l’idea di obliterare il dibattito con il voto di fiducia. E ci chiediamo, nei vent’anni di Genova, se il Parlamento intenda rimanere fermo alla pura commozione oppure dar corso agli obblighi europei di imprescrittibilità di reati come la tortura, ipotesi senza dubbio in contrasto con l’istituto dell’improcedibilità. Siamo i primi, poi, a invocare nuove risorse e coperture di organico per poter fare i processi e non incappare in un numero elevato di improcedibilità, nello spirito del servizio che rendiamo ai cittadini. Certo, la coerenza della prospettiva Lattanzi sembra tramontata e questo è un danno.

Il Movimento 5 Stelle propone di creare il doppio binario per reati di mafia, terrorismo, in parte corruzione. Qual è il suo pensiero su questo?

Il doppio binario è una soluzione estrema e sempre pericolosa, anche per la difficoltà di un’operazione sistematica che consenta di selezionare sulla base di criteri generali le categorie di valori da salvaguardare in modo “rafforzato”. Il rischio è quello di trovarci esposti alla sensibilità casuale e di volta in volta mutevole delle maggioranze politiche: l’accertamento sulle responsabilità della morte in fabbrica di Luana D’Orazio è più o meno importante della corruzione del vigile urbano per pochi spiccioli? E la strage di Viareggio ha più o meno disvalore dei reati di criminalità organizzata nei casi in cui viene in gioco l’azione della manovalanza?

Un paragrafo del documento da lei citato reca il titolo “L’esecuzione della pena: una riforma a metà”.

La possibilità di anticipare alla fase della cognizione le sanzioni sostitutive alla detenzione poteva consentire uno snellimento del procedimento, ove si fosse pensato di inserire nel catalogo delle sanzioni sostitutive l’affidamento in prova ai servizi sociali e non solo la semilibertà e la detenzione domiciliare. Limitare a queste sole due ultime misure non determinerà un calo delle impugnazioni e rischia, in caso di abuso della semilibertà, di aumentare gli ingressi in carcere. Occorre comunque guardare con fiducia alle capacità del giudice della cognizione di applicare anche tale misura dalla spiccata vocazione risocializzante.

Lei condivide l’istituzione della commissione per la Giustizia al Mezzogiorno voluta dalla guardasigilli Marta Cartabia e dalla ministra per il Sud, Mara Carfagna?

L’attenzione per i territori di periferia o con sacche di povertà maggiori è lodevole, purché non venga fatta, come tante volte è accaduto per il Sud, nell’ottica assistenzialistica o, per dirla con le parole di Franco Cassano, senza che si porti avanti un reale “pensiero meridiano” per la giustizia.

Nel caso verbali, circa 150 magistrati milanesi si schierano con Storari. Che ne pensa di questa faccenda?

Occorre premettere che il giudizio disciplinare è un procedimento garantito e assimilabile alla giurisdizione, pertanto proprio noi magistrati dobbiamo muoverci con cautela su questo terreno: facendo un parallelismo apparirebbe, infatti, ben grave una raccolta di firme per delegittimare il corso di un processo ordinario. Tuttavia, anche dal comunicato della giunta Anm del distretto di Milano, traspare un disorientamento di numerosi colleghi della sede giudiziaria interessata, da sempre contraddistinta da elevata serietà. È la spia di una sfiducia diffusa che tutta la vicenda ha provocato all’esterno e all’interno della magistratura e che occorre analizzare, per trovare quegli antidoti necessari a ripristinare la fluidità dei circuiti relazionali e istituzionali. Senza il ripristino della fiducia la credibilità della magistratura e la sua legittimazione rischiano di essere travolte.

Su quali direttrici sarà impegnata maggiormente Md nel prossimo futuro?

Direi che il panorama della magistratura impone due fronti: quello interno di rivitalizzazione dell’associazionismo, della partecipazione, dell’azione dei singoli iscritti e delle sezioni territoriali; quello esterno di approfondimento dei conflitti sociali, provando a entrare sempre più in contatto con gli operatori impegnati nel progetto di emancipazione dei soggetti più deboli, quelli che hanno più bisogno della giurisdizione.