Il principe dellinsulto ha colpito ancora. Dopo gli infermi e i disabili, i nani e le ballerine, stavolta Marco Travaglio se la prende (inconsapevolmente) con gli orfani, nella fattispecie con il Presidente del consiglio Mario Draghi che, nella dimessa location della festa di Articolo 1, ha definito «un curriculum ambulante, un figlio di papà che non sa un cazzo di sanità e giustizia». Sorrisetto, applausi. Ci poteva anche stare: in fondo Draghi è un super-banchiere che da decenni frequenta il Gotha della finanza e della politica mondiale e, nel corso della sua carriera, il direttore del Fatto Quotidiano ha detto e scritto trivialità ben peggiori. Peccato che a quel curriculum ambulante Travaglio non gli abbia dato neanche una rapida occhiata. Avrebbe saputo, per esempio, che Mario Draghi ha perso il padre quando aveva 15 anni e la madre quando ne aveva 19. Che è stato adottato dalla zia e che si è laureato in economia alletà di 23 anni, dieci anni prima di quanto abbia fatto lui stesso, studente fuori corso ultra-trentenne alluniversità di Torino. Tecnicamente il figlio di papà è lui. Eppure sarebbe bastato poco per evitare quella misera figura. E basterebbe poco per rimediare, tipo delle stitiche scuse da inviare allinteressato. Ma nelluniverso mentale di Travaglio non cè spazio per simili pensieri, la benzina che manda avanti la macchina è loffesa gratuita, lumiliazione dei più deboli, gli avversari paragonati a «mongoloidi», «ritardati», «handicappati», oppure a «lombrichi», «vermi», con un talento da Emilio Fede minore nello storpiarne i nomi. E quel perenne bullismo con cui augura ai suoi bersagli il morso della manetta o la chiave della cella rigorosamente da buttare via per sempre. Dicono che sia anche fazioso, ma di fronte al sadismo patologico quella è persino una qualità.