Era entrato con le sue gambe nel carcere di Parma, ora non deambula più. Ha un tumore grave che gli ha comportato l’asportazione di un polmone. Ora anche l’altro è compromesso. Soffre di dolori atroci. Ha chiesto il differimento pena per potersi curare, ma è stato rigettato dalla magistratura di sorveglianza. C’è il problema dei pestaggi in carcere che Il Dubbio ha sempre affrontato, ma c’è anche una violenza istituzionale più subdola ma molto più grave. Una tortura lenta e duratura. Questa può avvenire grazie agli stessi mass media che ora cavalcano i pestaggi, che però prima avevano cavalcato le polemiche contro le cosiddette “scarcerazioni”. Che poi scarcerazioni non erano, ma differimento pena per gravi motivi di salute. Ora, a causa di quelle polemiche avanzate anche da chi ora si erige falsamente per i diritti dei detenuti, c’è stato un irrigidimento da parte dei magistrati. Soprattutto nei confronti dei detenuti reclusi per motivi legati alla criminalità organizzata.Ed ecco il risultato. Parliamo di Vito Bigione, classe 1952, di Mazara del Vallo, che lamenta un ulteriore peggioramento generale. Dice di non riuscire più a deambulare, nemmeno per brevi tratti. Denuncia, tramite i famigliari, di non essere ancora stato messo in grado di effettuare la Tac come disposto anche dal magistrato di sorveglianza nel rigetto all'istanza di differimento pena. Dolorante e scoraggiato dalla mancanza di cure, minaccia il suicidio, anche perché asserisce di non ricevere risposte dal dirigente sanitario del carcere. La compagna vive a Mazara del Vallo e non lo vede ' in presenza' da quasi 3 anni, non avendo possibilità economica per andare fino a Parma.Una storia, per chi conosce il sistema penitenziario, di ordinaria amministrazione. Un trattamento, di fatto, disumano e degradante che attraversano diverse carceri d’Italia. In particolar modo proprio quello di Parma, dove c’è un centro clinico che come una calamita attrae diversi casi di detenuti con patologie gravi provenienti da vari penitenziari della penisola. Ma non ce la fa più. Lì è detenuto, appunto, Vito Bigione. Dall’istanza dove si chiede il differimento pena, viene descritto l’impressionante quadro clinico che con il tempo è peggiorato. Un polmone solo a causa del cancro e si sta compromettendo l’unico rimasto. Si legge che il detenuto versa allo stato in gravi condizioni di salute con gravi crisi respiratorie. Assume una terapia antalgica con dosaggi importanti di antidolorifici ma senza netto beneficio. Prima ancora, ed esattamente nel 2018, giunse al carcere romano di Rebibbia dove il medico di reparto aveva certificato, alla luce delle pluripatologie di cui il paziente è affetto, suscettibili di acuto peggioramento e la necessità di frequenti controlli medici interni ed esterni all'Istituto, che lo stesso è incompatibile con il regime carcerario. Ed aveva ragione, perché non ha fatto altro che peggiorare, almeno da quello che si evince nella documentazione prodotta.Non solo. Già nel gennaio del 2019, come si evince dalla cartella clinica, il personale medico del carcere di Parma ne aveva accertato la incompatibilità. Alle stesse conclusioni è pervenuta la specialista in Medicina legale presso l'Istituto di Medicina legale di Parma, nominata consulente di parte allo scopo di accertare la compatibilità delle condizioni di salute del Bigione con il regime carcerario. La specialista, esaminata la documentazione sanitaria e sottoponendolo a dicembre 2020 a visita medica, ha concluso che il complesso pluri patologico da cui è affetto Bigione, necessita di «numerose e frequenti visite specialistiche e indagini laboratoristiche- strumentali che comportano accessi presso il nosocomio cittadino alla luce dell'impossibilità di essere effettuate presso il carcere». Come se non bastasse, alle varie gravi patologie si associa un invalidante dolore neuropatico a causa dell’operazione chirurgica che gli ha asportato il polmone. Il referto della specialista conclude ribadendo che attualmente le condizioni psicofisiche del detenuto Bigione sono in continuo peggioramento. In sostanza risulta evidente che ad oggi le condizioni di salute siano nettamente peggiorate ed è «innegabile – si legge nell’istanza - che le stesse siano incompatibili con il regime carcerario ciò avuto riguardo sia alla inadeguatezza del servizio sanitario penitenziario ove trovasi ristretto, rispetto al caso concreto, sia anche alla insalubrità dell'ambiente, nonché alla impossibilità per il Bigione di sottoporsi alle particolari cure del caso ed a trattamenti più efficaci, circostanze queste che potenzialmente ne aggravano la malattia». Ma nulla, istanza rigettata. Può rimanere in carcere. Evidentemente il diritto alla salute è scavalcato dal discorso della punizione carcerocentrica senza se e senza ma. La violenza istituzionale può andare avanti.