Tutto è iniziato con lo “scoop” de L’Espresso, poi ripreso dal programma “Non è l’arena”, condotto da Massimo Giletti, e addirittura, per conto del presidente Nicola Morra, è stata scomodata la commissione Antimafia per far luce sulla vicenda scarcerazioni. Parliamo ovviamente della polemica “scarcerazioni dei boss mafiosi”, che poi boss non erano, tranne i tre al 41 bis malati gravemente, scaturita a detta dei professionisti dell’indignazione, dalla “famigerata” nota circolare del 21 marzo del Dap. Tra essi, i professionisti delle indignazioni, anche giornalisti che ora falsamente spacciano per scoop la notizia data con mesi di ritardo sui pestaggi di Santa Maria Capua Vetere. Unica eccezione il professor Luigi Manconi che dalle colonne di Repubblica ha sempre mantenuto una coerenza encomiabile. Addirittura, il magistrato Nino Di Matteo, intervenendo sempre alla trasmissione di Massimo Giletti, disse: «Con quella Circolare del 21 marzo del Dap, che ha consentito a boss mafiosi di uscire dal carcere, il segnale di resa dello Stato è nei fatti. Ed è un segnale devastante, perché evoca, appunto, resa e arrendevolezza da parte dello Stato». Ovviamente chi non è a digiuno di diritto penitenziario e conosce il sistema carcerario fin da subito ha detto una circolare è un atto amministrativo, non decide la “scarcerazione” dei reclusi. Sullo specifico si parla di una circolare maturata in un periodo di grave emergenza, quella del Covid 19 che si stava diffondendo nelle carceri. Quindi il pensiero è andato a tutti quei soggetti che per età e patologie potessero essere più esposti alla mortalità una volta contratto il virus.La nota ha dato il via alle “scarcerazioni”? No. In realtà già prima della sua diramazione, alcuni giudici avevano iniziato a concedere i domiciliari anche ai detenuti in regime di Alta sicurezza. Di tutti quelli che hanno usufruito della detenzione domiciliare, una parte era relativa al pericolo Covid, ma la gran parte era dovuto dalle patologie gravi che li rendevano incompatibili con la carcerazione.L’allora ministro della giustizia Alfonso Bonafede cedette alle pressioni ed emanò di fretta e furia il decreto antiscarcerazione. Il risultato? Tra il decreto e la pressione mediatica, i magistrati si sono irrigiditi e la concessione del differimento pena è diventata rarissima. Ciò sta provocando la messa in pericolo di diversi detenuti incompatibili con il carcere. Alcuni sono morti in carcere. Altri sono su quella via. Basti pensare al caso che Il Dubbio ha affrontato oggi sulla stessa pagina.