Spesso sono i piccoli strappi a registrare la portata di una lacerazione complessiva più che non le dichiarazioni altisonanti. Il voto con cui Lega e Fi hanno scaricato gli alleati di FdI lasciandoli senza consigliere d'amministrazione Rai, e così costituendo anche un inedito e discutibile cda tutto di maggioranza, è uno di quegli "strappi minori" che dicono molto. Anche perché chiunque abbia respirato anche solo un po' l'aria dei palazzi della politica sa quanto ossessiva sia l'attenzione di tutti i partiti per mamma Rai, quanta importanza tutti attribuiscano al cavallo di viale Mazzini. Lo sgarbo è stato plateale.Dispetti tra giocatori che competono tra loro ma pur sempre della stessa squadra, come nel caso del lungo braccio di ferro sulla presidenza del Copasir a lungo negata a FdI, alla quale pur spettava di diritto, proprio dai fratelli/coltelli leghisti? Sarebbe senza dubbio così se non ci fossero più corposi segnali di una manovra di più ampia portata. Anche se i media insistono nel fingere che la posizione di Salvini sul ddl Zan sia sempre la stessa da mesi e nella sostanza affine a quella di Giorgia Meloni, la realtà è opposta. Quando il capogruppo di Iv spiega il suo applauso a Salvini ironizzando sul fatto che «sembrava la Cirinnà», cioè la più sfegatata pasadran della legge Zan, esagerava solo fino a un certo punto. La Lega ha dismesso sia l'ostruzionismo che l'opposizione rigida e a tutto campo, lasciandola al partito di Giorgia Meloni. Certo, a sentire i discorsi dei leghisti in Aula la differenza rispetto ai Fratelli svapora: la cultura comune di base è quella. Ma proprio rispetto a quella cultura Salvini e il gruppo dirigente hanno scelto di cambiare strada, in base evidentemente a un calcolo politico che prescinde dal merito della vicenda. Il capo legista, d'accordo con Renzi, sta usando lo scontro sulla legge contro l'omotransfobia per fare un robusto passo avanti sulla via della tasformazione del suo partito "populista" in forza centrista.Non è un percorso univoco e privo di arretramenti. Il rapporto stretto con Orban rivela che una scelta definitiva il leader del Carroccio ancora non l'ha fatta. Resta nel guado tenendosi aperte tutte le opzioni e anzi cercando di giocare più parti in commedia. Ma la partecipazione convinta alla maggioranza di Draghi è elemento tale da indirizzare quasi inevitabilmente Salvini verso il centro piuttosto che verso l'estrema destra, anche a costo di pagarne il prezzo con qualche punto percentuale in meno nei sondaggi. È un investimento a lungo termine. I frutti l'ex ministro degli Interni conta di raccoglierli al momento dell'elezione del capo dello Stato e soprattutto dopo le elezioni politiche. Cosa succederà tra sei mesi o peggio tra un anno e mezzo sul palcoscenico aperto a ogni sorpresa della politica italiana sarebbe un azzardo provare a prevederlo ora, però è un fatto che tra Lega e FI da una parte, FdI dall'altra, è stato piazzato un cuneo che potrà essere eliminato al momento buono ma anche adoperato per aumentare di parecchio la distanza.Sul fronte opposto, in apparenza, le cose vanno in direzione opposta. Letta e Conte sembrano viaggiare spediti verso il matrimonio. Partecipazioni pronte e stampate, annunci già affissi. Qui a porre insidiosi ostacoli è però la realtà. Conte non può che fare le barricate contro la riforma della giustizia. Letta non può che sostenerla. È noto come la faccenda non sia per i 5S secondaria. Conte deve alzare il volume di fuoco contro Draghi. Letta non può evitare di far da scudo al premier. Si tratta di un equilibrio delicato: riuscire a mantenerlo non è impossibile ma neppure facile e se la critica di Conte al governo dovesse montare nel corso del semestre bianco sino a sfociare in una uscita dalla maggioranza la ferita non sarebbe curabile e il matrimonio tra Pd e 5S andrebbe a monte. Infine va ricordato che in questa situazione "in movimento" si agita Renzi, il solo probabilmente ad avere un obiettivo preciso: staccare la Lega da FdI e i 5S dal Pd per poi imporsi come regista di una nuova maggioranza, stavolta politica.L'assetto del quadro politico italiano non è mai stato tanto in forse e non si chiarirà nemmeno un po' prima die due passaggi decisivi della legge di bilancio e dell'elezione del capo dello Stato. Ma di certo la limpida contrapposizione tra due coalizioni decise a restare unite anche dopo il voto è oggi solo un'ipotsi tra le tante, e forse neppure la più probabile.