Secondo il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il disegno di legge delega che prevede l’abrogazione e la revisione «di norme che alimentano la corruzione» sarebbe dovuto approdare in Parlamento entro giugno scorso, con un termine di nove mesi dall’approvazione per l’adozione dei decreti delegati. Ma del ddl, al momento, non c’è nessuna traccia, nonostante lo stesso potrebbe aiutare a far “digerire” al M5S la partita della prescrizione, uno dei nodi principali della riforma della giustizia, tenuta in sospeso anche dalla crisi pentastellata. La materia, infatti, è da sempre tra le priorità del Movimento, che ne ha fatto una propria bandiera sfociata anche nella legge Spazzacorrotti, vessillo dell’ex ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. E ad evidenziare il ritardo è proprio un grillino, ovvero il presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera Giuseppe Brescia, che ha lanciato un appello al presidente del Consiglio Mario Draghi per riprendere in mano l’iter. Ciò anche a seguito delle 44mila firme consegnategli dal comitato “The Good Lobby”, che il 30 giugno ha organizzato un flash mob davanti a Montecitorio per chiedere alle Camere di discutere e approvare al più presto una legge sul conflitto d’interessi e sul lobbying, che sarebbe dovuta entrare in vigore il primo luglio. Il testo base di tale norma è stato adottato a ottobre 2020 dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera e si attende, ora, la presentazione degli emendamenti. A dire sì erano stati Pd, M5s e Leu, nonché i deputati del gruppo misto. Contrari, invece, Lega e Italia Viva, che contestava il presupposto secondo cui «chi si candida a ricoprire una carica pubblica provenendo da una libera professione o comunque da un lavoro autonomo, lo faccia per tutelare qualche specifico interesse», aveva evidenziato il capogruppo Marco Di Maio. Ma ora tutto è rimasto fermo. E Brescia prova a smuovere le acque: «Faccio un appello al presidente Draghi, sia da presidente di commissione che da relatore. Lavoriamo insieme, sblocchiamo col dialogo lo stallo politico già presente ai tempi del governo Conte 2 e il governo dia un contributo e un impulso alla legge sul conflitto d’interessi e sul lobbying - ha commentato intervenendo all’iniziativa davanti a Montecitorio -. La lotta alla corruzione e per la trasparenza non merita divisioni e rallentamenti. Sappiamo che questi due temi sono cari alla ministra Cartabia e anche la Commissione Europea e il rapporto Greco sottolineano che su conflitto d’interessi e lobbying l’Italia ha norme troppo frammentarie e deboli. Rafforziamo Antitrust e Anac, semplifichiamo quello che c’è da semplificare, ma uniamo le forze e non deludiamo le energie e le aspettative della società civile». Farlo in tempi brevi, continua il grillino, è essenziale: «Grazie al Pnrr arriveranno ingenti risorse per il nostro Paese e nessun euro dovrà essere speso male o sprecato - spiega al Dubbio -. Per questo non bisogna arretrare nella lotta alla corruzione. Lo stiamo già facendo con diversi emendamenti al dl semplificazioni in commissione alla Camera, ma bisogna recuperare ritardi cronici nella prevenzione dei conflitti d’interessi e nell’attività di rappresentanza degli interessi. C’è un pacchetto di misure che va approvato entro fine legislatura anche grazie all’aiuto del governo». È stata proprio la ministra Cartabia ad evidenziare che per riorganizzare la “macchina giudiziaria e amministrativa” attraverso la lotta alla corruzione, una delle priorità del Pnrr, è necessario incidere sia sui ritardi negli accertamenti giudiziali, sia garantendo la semplificazione e la trasparenza delle procedure dei contratti pubblici, risolvendo inoltre le carenze sui conflitti di interesse e sui fenomeni di lobbying. Concetti che la ministra ha evidenziato il 15 marzo, giorno in cui ha esposto le linee programmatiche del suo incarico, a partire dalle opportunità offerte dai fondi del Recovery. Secondo il Pnrr, «la corruzione può trovare alimento nell’eccesso e nella complicazione delle leggi. La semplificazione normativa, dunque, è in via generale un rimedio efficace per evitare la moltiplicazione di fenomeni corruttivi», si legge nel documento. L’obiettivo è individuare le norme che possono favorire la corruzione e procedere così ad una loro revisione o totale cancellazione. E tra le norme da rivedere ce n’è una in particolare, tornata al centro dell’attenzione anche perché inserita tra i quesiti referendari presentati dal Partito Radicale e dalla Lega in piena “concorrenza” con le riforme: la 190/2012, ovvero la legge Severino. «Vanno riviste e razionalizzate le norme sui controlli pubblici di attività private, come le ispezioni, che da antidoti alla corruzione sono divenute spesso occasione di corruzione. È necessario eliminare le duplicazioni e le interferenze tra le diverse tipologie di ispezioni - si legge nel piano -. Occorre semplificare le norme della legge n. 190/2012 sulla prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione; e le disposizioni del decreto legislativo n. 39/2013, sull’inconferibilità e l’incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e gli enti privati in controllo pubblico». Tale norma, secondo quanto riferito al Dubbio da Brescia nelle scorse settimane, rappresenta «un irrinunciabile passo di civiltà nella lotta alla corruzione, un traguardo minimo su cui non si deve arretrare». Da questo punto di vista, dunque, la norma potrebbe entrare in conflitto con le aspettative del Movimento. Ma solo da questo punto di vista.